Corriere Fiorentino

Pisa, tra i neoleghist­i dell’ex periferia rossa

Pisa, viaggio nel quartiere popolare del Cep: «Votavamo Pci, ora viene prima la sicurezza»

- Di Mario Lancisi

Al quartiere Cep cantavano «Bandiera rossa», ora il candidato sindaco del centrodest­ra Conti, spinto dalla Lega di Salvini, supera abbondante­mente i voti del centrosini­stra. Siamo a mille metri dalla Torre, ma nel vuoto.

«Non più nemici, non più frontiere,/lungo i confini rosse bandiere./ O comunisti alla riscossa./ Bandiera rossa trionferà», fischietta Roberto Cini, operaio, seduto alla Caffetteri­a Tirreno, la stessa dove il 9 febbraio scorso un giovane di 21 anni, Patrizio Giovanni Iacono, sparò a quattro clienti del bar. Qui al Cep, quartiere pisano di case popolari fatte costruire negli anni Sessanta da Giuseppe Togni, potente ministro democristi­ano dei Lavori pubblici, di bandiere rosse ce ne sono sempre meno. Il Pd e la sinistra arrancano e la Lega di Matteo Salvini vola. Al Cep domenica il candidato sindaco del centrosini­stra Andrea Serfogli ha preso 499 voti mentre il rivale Michele Conti, centrodest­ra, grazie all’exploit leghista 52 di più.

Così per la prima volta nella storia rossa del quartiere Cep ha vinto la destra. Nonostante le tradizioni rosse e ribelli del quartiere, zona San Rossore, un chilometro di distanza dalla Torre pendente e otto da Marina di Pisa. Al Cep si tenevano ad esempio i mercati di Lotta continua che si proponevan­o di unire produttori e consumator­i e, in via Aurelio Lommi, è nato Andrea Balestri, che da bimbetto impersonò Pinocchio nello sceneggiat­o televisivo di Luigi Comencini. Come dire, un pezzo del ’68 e il senso dei pisani per lo sberleffo e la ribellione.

«Oggi purtroppo domina soltanto paura, solitudine e disgregazi­one», spiega Alessandra B., 45 anni, disoccupat­a. «Ho tre cani e fino a qualche anno fa ogni sera li portavo nei terreni vicino agli argini dell’Arno, ma da un po’ di tempo non mi azzardo, ho paura. Lì su quelle terre dormono non pochi immigrati. Sbucano dall’erba, e se sei donna e sola, ti trema il cuore. Lo so, il mio è un pregiudizi­o, ma alla paura non si comanda», racconta.

Strano destino, quello del Cep. Costruito per togliere i piccoli ghetti dislocati nella città alla fine della guerra e formare un quartiere dignitoso e vivo con i suoi palazzoni rossi, rischia di diventare esso stesso un ghetto di immigrati — albanesi, rumeni, nordafrica­ni e rom — chiuso nelle proprie etnie e senza alcun rapporto con i pisani se non quello di una diffidenza silenziosa mista a odio. «Vengo da Roma e ciò che qui mi ha colpito di più è la mancata integrazio­ne. Si capiscono anche da mezze parole, da sguardi, da piccoli gesti la paura e l’astio nei confronti degli immigrati», osserva Chiara Abati. Il suo compagno gestisce un negozio di frutta e verdura dove entrano solo i pisani. Gli «altri» si tengono alla distanza.

L’inimicizia spesso è fatta di piccole ragioni e di vistosi pregiudizi. «Se vedono un africano con un cellulare, subito c’è chi brontola: visto quello? Lo vedi il suo smartphone? Vale almeno 150-200 euro, mentre io non me lo posso permettere. Se vedono un rumeno con una macchinona: hai visto quello? E noi invece senza lavoro», racconta ancora Alessandra. Anche se il voto a Salvini non sembra dipendere da ragioni economiche ma dalla sicurezza negata, dal degrado che si vede ad ogni angolo («I rom buttano dove capita i loro sacchetti dell’immondizia mentre noi siamo tenuti a fare la differenzi­ata», si lamenta un anziano pensionato ), dai furti e dallo smercio della droga.

E c’è chi punta il dito contro l’ex polveriera militare dove sono alloggiati i profughi, gestiti dalla Croce rossa. Susanna Ceccardi, la sindaca leghista di Cascina, ha condotto una battaglia contro il loro arrivo e il clima è sospettoso: «Quanti sono? Non posso dirlo», risponde un volontario della Croce rossa che ci rincorre per aver scattato due foto all’edificio, vuole sapere perché, cosa cerchiamo. La tensione è alta. Lo si capisce anche dal fatto che molti residenti non vogliono parlare. Al massimo gridano: «Ho votato Salvini, viva Salvini». E chi parla spesso bisbiglia, sussurra: «All’ex polveriera i profughi hanno divelto il filo spinato così la notte possono uscire arrampican­dosi dai muri». Ma non è vero.

E la rabbia, qui al Cep, non è solo per gli immigrati. Lo sguardo va oltre e prende di mira l’università, la città del sapere, il mondo della cultura, la sanità. «Quelli votano a sinistra perché abitano in luoghi sicuri, guadagnano bene, sono la Casta. Vi stupite perché poi nei quartieri si vota per il M5S e la Lega?», polemizza Marco R., un disoccupat­o di quarant’anni con moglie e figli. «Ho votato Salvini per protesta e disperazio­ne. Tanto peggio di così…».

Sarebbe bello questo quartiere pisano. C’è la Torre vicina. E il parco di San Rossore. L’Arno a due passi. Il mare a pochi minuti di auto. Ed enormi distese di verde che potrebbero essere giardini, luoghi per bambini, ritrovo per cani, pic nic domenicali. E invece sorprende il deserto, il niente, l’assenza di vita e di vite. Vediamo solo una signora anziana seduta su una panchina. Sarà un caso, ma così è, in un martedì di giugno senza il chiasso dei bambini, il vocìo delle persone che si incontrano nelle nostre piazze toscane per cui il Cep è a Pisa, ma potrebbe essere altrove. E allora capisci, al di là di chi vince e chi perde alle elezioni, dove si annidano il tarlo della disgregazi­one e il fuoco della controvers­ia.

Non solo immigrati Quelli dell’ Università votano a sinistra perché abitano in luoghi sicuri, guadagnano bene, sono la Casta Vi stupite perché poi nei quartieri si vota M5S e Lega?

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I palazzo del quartiere Cep a Pisa Sotto, un’immagine dei rilievi fatti dalla scientific­a dopo la sparatoria di febbraio

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