«La mia Firenze, dove tutto è cominciato»
Giorgio Armani e il nuovo negozio in Tornabuoni «Sfilare qui per il Made in Italy? Pensiamoci»
Con Firenze Giorgio Armani ha da sempre un legame speciale. Il debutto avvenne negli anni ‘70 nella Sala Bianca di Palazzo Pitti. Qui sfilarono alcune delle sue prime collezioni realizzate per etichette toscane. Mentre nei decenni successivi i fermenti e le iniziative culturali della città furono terreno fertile al progredire della sua sperimentazione. Nel giorno dell’inaugurazione del suo nuovo grande negozio in via de’ Tornabuoni 83r a cui seguirà un party a Palazzo Pandolfini, il Re della moda ricorda le tappe della sua storia fiorentina.
Con quali aspettative oggi apre il nuovo negozio in via de’ Tornabuoni, strada da sempre dedicata alla moda che ha subito nel tempo non pochi cambiamenti?
«Molto alte, perché quello che mi attira è proprio la contaminazione tra la bellezza storica e architettonica di via de’ Tornabuoni e il suo appeal turistico. Probabilmente sono ottimista e voglio credere che anche il turista più distratto e frettoloso potrà lasciarsi sedurre dall’eterna bellezza della città, godendola un passo dopo l’altro in una strada magnifica come questa. Ho quindi lavorato con il mio team di architetti per dare a questo spazio un’atmosfera che rispecchi i miei valori. Stanze collegate da portali con finiture in platino, come gli arredi e gli espositori. Tra le novità un’ampia zona per gli accessori e, per la prima volta, un corner e una vetrina dedicati al make up e alle fragranze della linea Giorgio Armani Beauty».
Conosce Firenze e la Toscana anche grazie a persone qui nate. Sergio Galeotti il suo storico braccio destro era di Marina di Pietrasanta. Le immagine di alcune campagne storiche sono state firmate dal fiorentino Aldo Fallai. Cosa rende Firenze ai suoi occhi ancora riconoscibile?
«Negli anni ‘60 da Milano si andava in vacanza in Liguria, a Santa Margherita, o in Versilia. Ed è proprio alla Capannina di Forte dei Marmi, che nel 1966 ho conosciuto Sergio Galeotti. La raffinata, ospitale spiaggia del Forte è stata per molto tempo luogo di vacanza. Posso dire che la mia carriera ha preso avvio a Firenze con iniziative attraverso le quali mi sono addentrato nel terreno della sperimentazione. Come la G.A. Story, uno spettacolo di testi e moda ideato da Bob Wilson presentato in anteprima il 21 giugno 1996 agli ospiti in città per il vertice europeo e riproposto il 3 luglio alla Stazione Leopolda per il 50esimo anniversario di Pitti Uomo. Mentre nel ’92 per il 40esimo anniversario della prima sfilata della Sala Bianca, alla mostra antologica fu affiancato un tributo speciale, una mostra-gioiello, della quale Gae Aulenti curò l’allestimento, che raccoglieva oltre 70 miei abiti da sera creati in 10 anni dall’82 al ’92. Con
Aldo Fallai ho lavorato alle mie campagne pubblicitarie più belle e tra le più riconoscibili, che hanno definito la mia immagine. Firenze per me è tutto questo: una parte fondamentale della mia vita. Il tempo scorre e i cambiamenti sono inevitabili, ma il fascino e l’essenza vitale della città, il suo profondo legame con la sua cultura, rimangono immutati».
Nel 1996 con altri stilisti partecipò alla Biennale di Firenze. Cosa ricorda di quella esperienza che le consentì di esporre le sue creazioni agli Uffizi?
«È stato un crogiolo nel quale si sono mescolati molti ingredienti, perché l’intento era quello di raccontare le influenze e gli scambi tra tutte le arti visive. Certo, la Biennale ha assunto un’importanza che all’inizio non le avevo dato. Anche se ha accresciuto il mio coraggio di sperimentare cose nuove. Quando sono entrato nella Galleria degli Uffizi mi ricordo di essermi detto:
ma che ci faccio qui, anche se realizzo begli abiti? Credevo mi si attribuissero qualità in maniera perfino eccessiva. Quindi, pian piano, in punta di piedi, molto discretamente e senza strafare, suggerendo solo il mio stile e i miei colori, mi sono mosso tra opere di inestimabile valore».
Recentemente è tornato agli Uffizi e con il direttore Schmidt ha ammirato opere rinascimentali, spunto di creatività di non pochi suoi colleghi. Ha pensato anche lei ad operazioni simili?
«Ho letto una frase di Andrea Marcolongo, l’autrice di
La lingua geniale, che mi ha colpito. “Dalle spalle di questo oggi che presto sarà ieri, arriva la precisa responsabilità di costruirlo, quel nostro futuro”. Ecco, appunto. Rispetto e sono affascinato dal passato, ma non voglio riprenderlo. È il futuro che devo preparare».
Alcuni suoi capi fanno parte del nuovo Museo della Moda e del Costume di Palazzo
Pitti. Le piacerebbe vederlo e magari portarci una sua mostra?
«Cercherò sicuramente di visitarlo, se riesco a destreggiarmi tra i miei impegni. Quanto a una mostra, non è certo una scelta che dipende soltanto da me, ma che mi trova sempre attento e curioso».
Non ha mai voluto cedere il suo marchio ai grandi gruppi. Come rappresentante del Made in Italy perché non fare una sfilata a Firenze dove con Giorgini è nata la storia della moda italiana?
«È un’idea interessante e che potrebbe sottolineare la storia della moda italiana, ricordandone le origini. Ma se fosse un’iniziativa totalmente ed esclusivamente mia, potrebbe sembrare un atto di presunzione, e forse di appropriazione di un fenomeno che è stato collettivo. Ma vale la pena di fare qualche riflessione». Il suo luogo del cuore a Firenze?
«La città intera, vista dal
piazzale Michelangelo e dalle colline. Offre una visione di serenità e armonia quasi ultraterrene, che mi trasportano nella dimensione di un Rinascimento immaginato. E mi infondono ottimismo perché l’uomo riesce a sopravvivere anche a se stesso».
Nel suo Teatro a Milano dà a giovani stilisti l’opportunità di farsi conoscere. Cosa pensa della formazione di settore che a Firenze è molto viva?
«Sono molto attento e curioso perché vedo in loro un mondo diverso. Non c’è quasi più niente in comune tra le generazioni che hanno dato vita alla moda italiana e quella attuale, che deve rappresentare il suo futuro. La sovrabbondanza di marchi, case di moda, stilisti, rende difficile emergere ed essere riconosciuti. Per questo bisogna offrire possibilità a chi può davvero rappresentare un pensiero diverso e aiutarlo a farsi conoscere. Io non ho frequentato scuole che potessero formarmi ma penso che quelle attuali forniscano davvero una buona preparazione. Il fatto è, come tutti sappiamo, che una volta diplomati occorre fare ancora un lungo tirocinio che corregga eventuali errori e suggerisca come valorizzare i propri pregi. Non si diventa di colpo ricchi e famosi. Non è semplice padroneggiare un sistema complesso come il fashion system, che può dare molto, ma esige anche molto, con assoluta coerenza di progetti e di fini».
Dalla Sala Bianca agli Uffizi, mi sono addentrato nel terreno della sperimentazione