Negli occhi di San Jacopo
Un libro racconterà il prezioso altare argenteo del patrono visto da molto vicino Un tuffo nella storia e un appello: il capolavoro andrebbe restaurato e valorizzato ancor di più
Ai fedeli e ai viandanti della via Francigena, San Jacopo offriva il suo volto più confortante. Per capirlo basta osservare l’altare argenteo a lui dedicato nel Duomo di Pistoia: un capolavoro di oreficeria medievale che brilla oggi ancor più della propria bellezza ed entro l’anno potrà essere ammirato in tutti i suoi particolati in uno speciale volume fotografico pubblicato da Giorgio Tesi editrice. Per realizzarlo, è stato eseguito in accordo con la Soprintendenza anche un intervento di spolveratura. Per la città è l’occasione di valorizzare uno dei tesori più preziosi dell’identità locale. Per tutti è l’opportunità di riscoprirlo e conoscerne la storia. Catturate a distanza ravvicinata, le immagini sono protagoniste del libro, che uscirà nella collana «Avvicinatevi alla bellezza».
Qui gli scatti di Nicolò Begliomini — che sceglie una regia fatta di primissimi piani e inquadrature decentrate — svelano plasticità insospettate. «L’altare argenteo è l’anima di Pistoia, perché ne è l’opera più rappresentativa», dice Lucia Gai, storica dell’arte esperta del culto jacopeo, autrice dei testi. Già tappa dei pellegrinaggi medievali sulla via Francigena e protagonista di un furto leggendario, quello di Vanni Fucci, che irruppe nella «sagrestia d’i belli arredi» in una notte invernale di fine Duecento, l’opera fu completata in quasi due secoli. Rappresenta, dunque, una sorta di compendio dell’arte sacra propria di periodi e autori diversi. Prima del servizio fotografico, le sue tavole sono state oggetto di «una rimozione dei depositi atmosferici e delle sostanze di degrado dalla superficie», spiega il restauratore, Paolo Belluzzo. Dal punto di vista strutturale, i singoli elementi sono in buone condizioni, anche se l’ultimo restauro completo risale al ‘53. «Con questa operazione l’idea è anche stimolare ulteriori interventi, magari per un restauro approfondito e per un riallestimento della sala», svela Begliomini. Un auspicio condiviso da Maria Cristina Masdea, funzionaria della Soprintendenza che ha coinvolto l’Opificio delle pietre dure in alcuni sopralluoghi. «Mi piacerebbe soprattutto che fosse sostituita la vetrina e che si pensasse a delle luci per valorizzare questo capolavoro: sarei felice se si trovasse uno sponsor».
L’esistenza del monumento è legata all’adozione di San Giacomo Apostolo come patrono cittadino, avvenuta nel XII secolo per volere del vescovo Atto. Che, in anni di conflitti tra potere politico e religioso, fece arrivare a Pistoia una reliquia del santo direttamente da Compostella per tentare di ristabilire l’armonia. La costruzione di un altare per accogliere tali resti iniziò nel 1287 e terminò nel 1456: ne nacque una grande opera collettiva che coinvolse i migliori maestri — come Filippo Brunelleschi, Andrea di Jacopo d’Ognabene e, anche se non direttamente, Andrea Pisano — e che passò attraverso innumerevoli vicende, quali furti, restauri, ampliamenti, guerre.
«La città voleva che l’altare fosse sempre più bello in onore del patrono — racconta Gai — perciò, grazie al culto di San Jacopo, fino al ‘400 Pistoia è stata frequentatissima, specie da grandi artisti, chiamati qui da tutta la Toscana per creare sculture, pulpiti e opere d’arte liturgica». Oggi collocato nella Cappella del Crocifisso nella cattedrale di San Zeno, l’altare è costituito da un dossale, ossia da una parte posteriore, e da un paliotto anteriore con storie ispirate al Nuovo e al Vecchio testamento, al Vangelo e alla vita di San Jacopo. Nelle intersezioni si aprono nicchie con figure di santi e profeti. «Al visitatore appare come un’architettura complessa, data dall’unione di pezzi diversi e costruita come se fosse la facciata di una chiesa con un portone gotico avente al centro la statua di San Jacopo, commissionata a Giglio Pisano negli anni della peste nera, dove il santo ha un’espressione dolce, esaltata da una doratura volutamente più chiara. Veniva esposta con la reliquia nel giorno del patrono, il 25 luglio. Il culto ha avuto un impatto profondo sulla vita della città e ancora oggi lo si ritrova nelle tradizioni e nei modi di dire».
La storica dell’arte è già autrice di un volume sul tema edito nell’ 84 con le foto di Aurelio Amendola. Vi si ricostruiva per la prima volta la storia dell’opera e degli studi che se ne erano occupati. «Stavolta ci rivolgiamo a un pubblico più ampio — precisa Gai — perché la valorizzazione e la custodia di un monumento richiedono che la cultura sia messa al servizio della collettività. Il progetto editoriale prevede tre parti indipendenti ma convergenti in un’unica visione dell’altare». Ci saranno un excursus storico e un aggiornamento sugli studi jacopei e compostellani, da leggere come «un racconto avvincente, un romanzo», svela l’autrice. Una seconda parte conterrà un’interpretazione religiosa dell’opera, vista come una sorta di libro sacro. Una terza tratterà tutte le arti e branche di studio coinvolte, seguita da un focus su Vanni Fucci e da un capitolo sullo splendore degli smalti, che nelle foto di Begliomini rivelano particolari inediti. E ben preservati.
Anche se «dal punto di vista conservativo un restauro organico e approfondito secondo la metodologia corrente sarebbe necessario — aggiunge Belluzzo — perché dall’ultimo sono passati troppi decenni e la vernice protettiva nel frattempo si è alterata. Non può più, quindi, difendere la superficie argentea da ossidazione, sulfurazioni, dall’interazione con agenti inquinanti. L’opera è offuscata nella sua leggibilità, ha un tono più sordo e non si coglie più il contrasto, un tempo netto, tra parti dorate e non dorate. Le prime sono molte di più di quelle oggi percepite».
Nel Duomo Racchiude l’anima della città e un passato avventuroso fatto di talenti, fede e furti