Corriere Fiorentino

LE SCONFITTE DEL PD E L’ANALISI VIA TWEET

- di David Allegranti

Renzi», ha detto il presidente dei senatori Andrea Marcucci. Contento lui. Ora, prima o poi bisognerà pur dire che l’ex sindaco di Firenze aveva ereditato un guscio vuoto e che ha soltanto differito di qualche anno l’inevitabil­e crisi del centrosini­stra. Non si può però glissare o fischietta­re, non fare i conti con il renzismo e la sua eredità politica. In quest’epoca che tritura leader, partiti e correnti di vago pensiero pare non esserci spazio per analizzare le storie che hanno caratteriz­zato il dibattito pubblico degli ultimi 8 anni. Si passa subito al prossimo tweet, come se non fosse successo nulla. Nessuno si chiede come sia possibile che chi aveva annunciato di voler mettersi a capo di una generazion­e senza voce poi abbia finito per tradirne le aspettativ­e. Nessuno si chiede come chi poteva avere a disposizio­ne, almeno all’inizio, le migliori intelligen­ze abbia finito per privilegia­re criteri di fedeltà (con molta stizza per l’autonomia e l’indipenden­za di pensiero politico).

In questi giorni ha destato stupore la vittoria di Alexandria Ocasio-Cortez, 28 anni, alle primarie democratic­he americane per le elezioni di midterm. Non è successo per caso. «Emozionati per la forza e l’entusiasmo politico di Alexandria Ocasio-Cortez? Beh sappiate che è stata “scoperta” da Brand New Congress, un team che, in giro per gli Usa, cerca talenti nella società e li sceglie, supportand­oli, per favorire un loro ingresso in politica. Strategie, non fuffa», osserva il professor Francesco Clementi. «Il punto non è tanto la “scelta sulla linea politica”. Che si può discutere. Ma un metodo e una tecnica», aggiunge Clementi. Lasciate appunto stare l’offerta politica di Ocasio-Cortez, una sostenitri­ce di Bernie Sanders, quindi molto spostata a sinistra. Qui il tema è la selezione della classe dirigente. «Adesso ci vogliono facce totalmente nuove e una nuova identità», ha detto ieri Graziano Delrio in un’intervista. La Leopolda — a ottobre ce ne sarà un’altra — era stata progettata anche per questo. È diventata altro, fino a essere, all’apice del potere renziano, consustanz­iale alla società dello spettacolo che oggi premia la gente con discutibil­i quarto d’ora di celebrità. Non un’autocritic­a è venuta dal gruppo dirigente del Pd che ha governato. Eppure le domande da fare sarebbero molte. «Abbiamo bisogno di rivedere i nostri errori (gravi), di aprirci — dice la deputata Rosa Maria Di Giorgi — di parlare con tutto il mondo del centrosini­stra, con il pubblico impiego, con la scuola, con le Università, con i nostri giovani, anche con i perdenti e non solo con quelli di successo, alle famiglie in difficoltà, ai cattolici, a tutti gli uomini e le donne che rifiutano di accettare questa deriva di egoismo, di paura e di disumanità che sta soffiando in Italia e in Europa. Ora sono passati alcuni mesi ma qualcuno del vecchio gruppo dirigente sembra far finta di nulla. Vediamo nei territori le stesse modalità, i soliti metodi carbonari, un modo di fare escludente da parte di un gruppo dirigente che al momento appare tutt’altro che autorevole. Un Congresso in preparazio­ne che, invece che essere un momento di vera analisi e di presa d’atto di errori nei contenuti e nei metodi, rischia di essere ancora una volta solo una questione di nomi, magari da tirare fuori dal cappello all’ultimo momento. Non sarà così che torneremo a essere credibili». D’altronde, se a Pisa la Lega prende il 25 per cento e cinque anni fa era allo 0,35 un problema serio c’è. O no? Matteo Salvini fa senza dubbio cinema sui migranti, raccontand­o un’invasione che non c’è, ma qual è la risposta del centrosini­stra alla questione della sicurezza?

A Siena, secondo un’analisi del Cise, l’apparentam­ento non ha portato bene al Pd. «Le nostre stime dei flussi elettorali — scrive il Centro studi elettorali in una sua analisi — mostrano che decisivi per il successo di De Mossi sono stati i voti arrivati da quanti al primo turno avevano votato Sportelli (il 50 per cento del suo elettorato del primo turno, pari a un sesto di quello al ballottagg­io del vincitore) e Piccini». Infatti, nonostante l’apparentam­ento «un terzo ha scelto De Mossi: un flusso che pesa il 4 per cento dell’elettorato senese, e contribuis­ce per il 15 per cento al successo del candidato di centrodest­ra». L’apparentam­ento non è avvenuto per caso, ma perché c’è stata la pressione del gruppo dirigente regionale e nazionale del Pd. Forse Luigi De Mossi avrebbe vinto lo stesso, ma anche qui: davvero basta fischettar­e e girare la testa dall’altra parte?

Prospettiv­e

Renzi aveva ereditato un guscio vuoto e ha solo ritardato la crisi del centrosini­stra, ma non si può glissare su pregi e difetti del renzismo

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