LE SCONFITTE DEL PD E L’ANALISI VIA TWEET
Renzi», ha detto il presidente dei senatori Andrea Marcucci. Contento lui. Ora, prima o poi bisognerà pur dire che l’ex sindaco di Firenze aveva ereditato un guscio vuoto e che ha soltanto differito di qualche anno l’inevitabile crisi del centrosinistra. Non si può però glissare o fischiettare, non fare i conti con il renzismo e la sua eredità politica. In quest’epoca che tritura leader, partiti e correnti di vago pensiero pare non esserci spazio per analizzare le storie che hanno caratterizzato il dibattito pubblico degli ultimi 8 anni. Si passa subito al prossimo tweet, come se non fosse successo nulla. Nessuno si chiede come sia possibile che chi aveva annunciato di voler mettersi a capo di una generazione senza voce poi abbia finito per tradirne le aspettative. Nessuno si chiede come chi poteva avere a disposizione, almeno all’inizio, le migliori intelligenze abbia finito per privilegiare criteri di fedeltà (con molta stizza per l’autonomia e l’indipendenza di pensiero politico).
In questi giorni ha destato stupore la vittoria di Alexandria Ocasio-Cortez, 28 anni, alle primarie democratiche americane per le elezioni di midterm. Non è successo per caso. «Emozionati per la forza e l’entusiasmo politico di Alexandria Ocasio-Cortez? Beh sappiate che è stata “scoperta” da Brand New Congress, un team che, in giro per gli Usa, cerca talenti nella società e li sceglie, supportandoli, per favorire un loro ingresso in politica. Strategie, non fuffa», osserva il professor Francesco Clementi. «Il punto non è tanto la “scelta sulla linea politica”. Che si può discutere. Ma un metodo e una tecnica», aggiunge Clementi. Lasciate appunto stare l’offerta politica di Ocasio-Cortez, una sostenitrice di Bernie Sanders, quindi molto spostata a sinistra. Qui il tema è la selezione della classe dirigente. «Adesso ci vogliono facce totalmente nuove e una nuova identità», ha detto ieri Graziano Delrio in un’intervista. La Leopolda — a ottobre ce ne sarà un’altra — era stata progettata anche per questo. È diventata altro, fino a essere, all’apice del potere renziano, consustanziale alla società dello spettacolo che oggi premia la gente con discutibili quarto d’ora di celebrità. Non un’autocritica è venuta dal gruppo dirigente del Pd che ha governato. Eppure le domande da fare sarebbero molte. «Abbiamo bisogno di rivedere i nostri errori (gravi), di aprirci — dice la deputata Rosa Maria Di Giorgi — di parlare con tutto il mondo del centrosinistra, con il pubblico impiego, con la scuola, con le Università, con i nostri giovani, anche con i perdenti e non solo con quelli di successo, alle famiglie in difficoltà, ai cattolici, a tutti gli uomini e le donne che rifiutano di accettare questa deriva di egoismo, di paura e di disumanità che sta soffiando in Italia e in Europa. Ora sono passati alcuni mesi ma qualcuno del vecchio gruppo dirigente sembra far finta di nulla. Vediamo nei territori le stesse modalità, i soliti metodi carbonari, un modo di fare escludente da parte di un gruppo dirigente che al momento appare tutt’altro che autorevole. Un Congresso in preparazione che, invece che essere un momento di vera analisi e di presa d’atto di errori nei contenuti e nei metodi, rischia di essere ancora una volta solo una questione di nomi, magari da tirare fuori dal cappello all’ultimo momento. Non sarà così che torneremo a essere credibili». D’altronde, se a Pisa la Lega prende il 25 per cento e cinque anni fa era allo 0,35 un problema serio c’è. O no? Matteo Salvini fa senza dubbio cinema sui migranti, raccontando un’invasione che non c’è, ma qual è la risposta del centrosinistra alla questione della sicurezza?
A Siena, secondo un’analisi del Cise, l’apparentamento non ha portato bene al Pd. «Le nostre stime dei flussi elettorali — scrive il Centro studi elettorali in una sua analisi — mostrano che decisivi per il successo di De Mossi sono stati i voti arrivati da quanti al primo turno avevano votato Sportelli (il 50 per cento del suo elettorato del primo turno, pari a un sesto di quello al ballottaggio del vincitore) e Piccini». Infatti, nonostante l’apparentamento «un terzo ha scelto De Mossi: un flusso che pesa il 4 per cento dell’elettorato senese, e contribuisce per il 15 per cento al successo del candidato di centrodestra». L’apparentamento non è avvenuto per caso, ma perché c’è stata la pressione del gruppo dirigente regionale e nazionale del Pd. Forse Luigi De Mossi avrebbe vinto lo stesso, ma anche qui: davvero basta fischettare e girare la testa dall’altra parte?
Prospettive
Renzi aveva ereditato un guscio vuoto e ha solo ritardato la crisi del centrosinistra, ma non si può glissare su pregi e difetti del renzismo