Corriere Fiorentino

MAGLIETTA ROSSA LA TRIONFERÀ

- Di Eugenio Tassini

Se per caso ieri camminando per la città vi è capitato di incrociare un po’ di gente, uomini o donne, con addosso una maglietta rossa non è perché il rosso è tornato di moda. Questo è successo nell’autunno del 2017 (si sa che gli stilisti sono bravi ad anticipare le tendenze).

E non c’è neanche un Pitti a sorpresa alla Fortezza da Basso. No, indossare una maglietta rossa è il modo di protestare che la sinistra (all’inizio quella movimentis­ta e cattolica, poi anche le altre) ha ritenuto più efficace contro le politiche del governo, ma soprattutt­o quelle di Matteo Salvini che per loro incarna l’anima nera (in tutti i sensi, religioso e politico) del nuovo esecutivo.

L’idea l’ha avuto un prete, don Luigi Ciotti, «contro l’emorragia di umanità». Qualche anno fa, nel 2002, aveva avuto anche quella di ritirar fuori la bandiera della pace, con i colori dell’arcobaleno disegnata da Capitini per la marcia di Assisi, invitando tutti ad appenderla ai balconi delle case contro l’imminente guerra in Iraq.

La maglietta rossa nasce dalla circostanz­a che i bambini figli dei migranti vengono vestiti, prima del viaggio in mare, con indumenti di quel colore perché in caso di naufragio sono più visibili. Di rosso era vestito Aylan che fu trovato morto su una spiaggia greca, e di rosso anche i piccoli morti al largo della Libia pochi giorni fa. Il colore rosso deve aver fatto effetto su chi è di sinistra come al toro la «capote de brega», il drappo che gli agita davanti agli occhi il torero, e

La maglia rossa parla a chi è disperso nei silenzi del Pd e nel linguaggio del governo È una sorta di ultima resistenza, un modo di dire: non siamo scomparsi

questa storia è un po’ sfuggita di mano a don Ciotti ed è arrivata fino a casa di Gustavo Zagrebelsk­y, che indossa una Lacoste rossa nuova di zecca e ancora con le pieghe del negozio, di Gad Lerner, che invece ne ha una semplice ma al polso, secondo Dagospia e Salvini, sfoggia un prezioso Rolex.

Di Roberto Saviano, sfondo chiaro, tatuaggi ben in vista, controluce, di Rosy Bindi, fra i fiori del giardino di una bella villa in Toscana, di Gianni Letta nella veste di grande condottier­o e sguardo verso l’infinito, di Roberto Speranza che forse non ha capito e veste di rosso dei bambini bianchi, ma loro mica devono salire sui barconi, di Paul Ginsborg con camicia rossa garibaldin­a davanti ai suoi libri, e di Susanna Camusso che di rosso nella foto ci mette anche il quadratone della Cgil, così per ricordare. Che alla fine è la più sincera. Rossa la maglietta come la bandiera, quella fatta dai minatori del Galles con le camicie sporche di sangue dei compagni uccisi. Rossa come quella issata sulle rovine del Terzo Reich dall’esercito russo alla fine della guerra. Rossa come quella del Pci.

Insomma, maglietta rossa trionferà. Però cosi è come fare una manifestaz­ione senza farla. Infatti basta indossarla giusto il tempo di fare uno scatto, postarla su Twitter, scrivere a commento qualcosa che finisca con «contro l’emorragia di umanità». Un corteo di singoli, che si risolve in pochi secondi come la storia della secchiata d’acqua per la ricerca sulla Sla, giusto il tempo di farsi una foto e che apparentem­ente unisce leader politici e sconosciut­i nella piazza virtuale, stelle della television­e e pubblico , ma che dura tutto il giorno e ha anche l’hashtag. Una manifestaz­ione giocattolo, appunto come la secchiata d’acqua, i girotondi, la bandiera della pace, i Je suis Charlie, le bandierine (o le candele) da aggiungere al nome su Facebook o su Twitter.

Non è chiaro se a determinar­e la scelta sia la paura di trovarsi con le piazze con poca gente (ma il rischio, direbbe Nenni oggi, è sempre lo stesso: Twitter pieno, urne vuote) o la convinzion­e che con la maglietta la manifestaz­ione sia più contempora­nea e che i vecchi arnesi ormai siano più che arrugginit­i. Perché la si pensa allegra, poco impegnativ­a, non politica vecchia maniera, insomma un fast strike.

E poi i simboli non costano (né soldi né fatica). Parla anche ai giovani, alla fine. E a chi è disperso nei silenzi del Pd, nella retorica di vecchi e nuovi condottier­i, nel linguaggio del nuovo governo da cui ci si sente estranei. Una sorta di ultima resistenza, di dire ci siamo, non siamo scomparsi, eccoci. Su Twitter, tristi solitari y final.

 ??  ?? Lo storico Paul Ginsborg con la camicia rossa alla Biblioteca nazionale, nella foto pubblicata dallo storico dell’arte Tomaso Montanari. Sotto, a sinistra il giornalist­a Gad Lerner e a destra l’ex ministro Rosy Bindi
Lo storico Paul Ginsborg con la camicia rossa alla Biblioteca nazionale, nella foto pubblicata dallo storico dell’arte Tomaso Montanari. Sotto, a sinistra il giornalist­a Gad Lerner e a destra l’ex ministro Rosy Bindi
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