UNA FIDUCIA DA RITROVARE
Francesca (nome di fantasia) ha raccontato sul Corriere della Sera di mercoledì una triste storia di indifferenza romana. Molestata sessualmente, è riuscita con difficoltà a far fermare l’aggressore, dinanzi al disinteresse generale, ma il magistrato, una donna alla quale aveva sporto denuncia insieme ad altre malcapitate le ha detto che l’arresto non era possibile perché mancava la flagranza di reato. In questi giorni si assiste a una levata di scudi delle forze politiche e dell’opinione pubblica contro la decisione della magistratura di rimettere in libertà Rodolfo Fiesoli, condannato per violenze e abusi sessuali su adulti e minori, ma rimesso in libertà dalla Cassazione perché la sentenza, definitiva, non è ancora accompagnata da una pena definitivamente fissata. Banalmente si potrebbe osservare che la sua libertà provvisoria è dovuta a buoni avvocati. Politici e società civile hanno comprensibilmente gridato allo scandalo. «È uno scandalo, cambiamo la legge», hanno dichiarato al Corriere Fiorentino i presidenti della commissioni Giustizia di Camera e Senato, Giulia Sarti del M5S e Andrea Ostellari della Lega, che ha aggiunto «leggi chiare, sentenze veloci, colpevoli in galera». La capogruppo di Forza Italia alla Camera Mariastella Gelmini ha richiesto l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta sul Forteto. Uno slogan, quello di Ostellari, accettato da tutti, dinanzi al grave problema del cattivo funzionamento della giustizia in Italia. Ben venga la possibilità di contrastare le storture procedurali con nuove leggi. E non c’è chi non veda l’esigenza forte di restituire ai cittadini la fiducia nella giustizia, sempre più vacillante. Tuttavia le paure e le proteste successive alla scarcerazione di Fiesoli, provenienti soprattutto dalle sue vittime e dai lavoratori del Forteto, segnalano un male più serio. La persistente presenza nel Mugello di posizioni di potere vicine al presunto guru della comunità. Preoccupa che il tessuto di connivenze costruito da Fiesoli con tragiche violenze su giovani indifesi sia ancora attivo e che la sua scarcerazione lo faccia apparire quasi come un vincitore, contribuendo a isolare le vittime.
Qui il funzionamento della giustizia c’entra poco. Se la cooperativa si fosse realmente rinnovata, allontanando tutti coloro che sostenevano Fiesoli, e nella società mugellana le vittime fossero apparse come vincitori di una battaglia contro soprusi inaccettabili e disumani, non ci sarebbero ancora queste paure. Forse bisogna davvero commissariare l’azienda, richiesta formalizzata ieri. In ogni caso, un paese civile non si riconosce soltanto dal grado di efficienza della macchina giudiziaria, che in Italia garantisce tutti i cittadini fino a sentenza definitiva, ma per la sua capacità di produrre anticorpi sociali dinanzi ai comportamenti violenti e criminali.