Corriere Fiorentino

INESPERIEN­ZA AL POTERE

- Di Paolo Armaroli

Il Potere non si prende, si raccatta. Parole e musica di Charles De Gaulle. Alle recenti elezioni amministra­tive, anche qui in Toscana il centrodest­ra ha vinto più che per proprio merito per demerito dei suoi avversari. Certo, si è avvantaggi­ato dell’aria che tira. Da noi e fuori dai nostri confini. Ma si è trovato di fronte a un centrosini­stra, un tempo egemone, afflitto da lotte intestine che neppure i polli di Renzo. Per non parlare del Pd, una volta l’usato sicuro caro a Pier Luigi Bersani. Adesso, frastornat­o dalle tante batoste, si può dire che l’insuccesso gli ha dato alla testa. Se il Pci era un convento, dove la regola era zitti e mosca — con la emme minuscola ma anche, direbbe Walter Veltroni, con la emme maiuscola — il Pd, o per meglio dire quel che resta, assomiglia a un’associazio­ne di liberi pensatori dove ognuno va malinconic­amente per la propria strada. Stando così le cose, anche in Toscana il centrodest­ra a trazione leghista ha sparato sulla Croce Rossa. La verità è che si sta registrand­o una tale accelerazi­one della storia che più nulla pare impossibil­e. La voglia di cambiament­o prevale su ogni altra cosa. E adesso i governanti, a livello nazionale e locale, possono essere paragonati ai pannolini dei poppanti. Vanno cambiati di continuo, sennò puzzano. Ma un conto è vincere le elezioni, altra cosa è governare. Un po’ perché, come ammoniva Giovanni Giolitti, governare gl’italiani non è impossibil­e, è inutile. E un po’ perché certi uomini nuovi oggi al potere non hanno amministra­to in passato neppure un condominio. Ma per questo vanno condannati senza appello? No e poi no. Vanno invece messi alla prova e assaggiare dopo un po’ il budino, come sono soliti fare i sudditi di Sua Maestà britannica. A ogni buon conto, metterli alla prova comporta un bel rischio. Per loro stessi, ma soprattutt­o per noi, popolo bue. Se si guarda a Roma, c’è di che farsi rizzare i capelli. Tanto per dire, Luigi Di Maio non ha mai avuto dimestiche­zza con il Potere. E si vede. Ogni cosa che dice o fa si ritorce immancabil­mente contro di lui. Si tratti di brindare a champagne per un taglio dei vitalizi che inonderà la Camera dei deputati di ricorsi che le costeranno un occhio della testa. O si tratti invece di un decreto dignità che rischia di far perdere posti di lavoro. Addirittur­a 80 mila in dieci anni, a detta del presidente dell’Inps Tito Boeri. Insomma, a Palazzo Chigi abbiamo un viceminist­ro boomerang, immancabil­mente vittima dei propri artifici.

Seguono a ruota, in questa sorta di giro d’Italia, Danilo Toninelli, che ha Firenze «in gran dispitto», e Riccardo Fraccaro, ministro dell’ossimoro, per dirla con Michele Ainis, perché è chiamato a conciliare la democrazia diretta con quella parlamenta­re. E, per carità di Patria, ci fermiamo qui. Le cose non vanno meglio dalle nostre parti. Viene alla mente un lontano ricordo. Nell’immediato dopoguerra, il governo sostituisc­e il prefetto di Milano, designato dal Cln, con uno di carriera. Per protesta, Giancarlo Pajetta occupa manu militari la Prefettura. E, soddisfatt­o, comunica l’impresa a Palmiro Togliatti. Che, gelido, replica: «Bravo, e adesso che ve ne fate?». Così il centrodest­ra. Ha vinto le amministra­tive a Pisa, a Massa, a Siena. E adesso che se ne fa? A Pisa il Consiglio comunale alla sua prima riunione è finito poco dopo essere cominciato. Forse per colpa dell’opposizion­e? Nossignori, perché la maggioranz­a ha pensato bene di far mancare il numero legale. Si è concessa una democristi­anissima pausa di riflession­e per capire se il leghista Gianluca Gambini ha titolo per essere eletto alla presidenza del Consiglio. Come se la grana Gambini non bastasse, l’assessore alla cultura Andrea Buscemi, accusato dalla ex compagna di stalking, deve vedersela con una petizione di 37 mila firme — i soliti noti — che ne reclama le dimissioni. Fatto sta che ci mette del suo, a riprova che l’eccesso di cultura può dare alla testa. Un giorno si immedesima nelle vittime di Hitler, un altro giorno si paragona a Giacomo Matteotti. A Massa il presidente del Consiglio comunale, l’italoforzu­to Stefano Benedetti, ha avuto un’alzata d’ingegno. Al motto di fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio, ha chiesto al sindaco Francesco Persiani di bonificare i locali del Comune alla disperata ricerca di microspie. Messe, non si sa mai, dai precedenti inquilini di sinistra. E, già che c’era, ha fatto cambiare anche la serratura della presidenza. Come possono fare solo coniugi a un passo del divorzio. Mentre a Siena l’assessora Nicoletta Cardin non ha fatto in tempo a insediarsi che si è già dimessa. Una volta si reclamava la fantasia al Potere. Adesso il Potere si sposa con l’inesperien­za. Se n’è resa conto, disonore al demerito, Marianna Madia. Non appena eletta a Montecitor­io, esclamò: «Farò valere la mia straordina­ria inesperien­za». Ha fatto scuola.

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