Ora basta colpevolizzare il marmo
Caro direttore, quando lo sfruttamento di eventi dolorosi come è certamente la perdita di una vita umana sul luogo del lavoro, raggiunge e travalica le vette non solo della realtà ma persino del pudore, viene da chiedersi se alcune organizzazioni sindacali siano intenzionate davvero a mettersi al servizio degli interessi dei lavoratori o rispondano invece a logiche distorte cresciute e maturate nel fango.
In primis va detto che il giovane lavoratore morto schiacciato da una lastra di marmo non era né un dipendente di una cava, né un lavoratore di una segheria o comunque di una fabbrica per la lavorazione del marmo, ma che il mortale incidente si è verificato in un’azienda di logistica che stava curando la contai ne rizza zio ne di materiali destinati a mercati esteri.
Se la morte viene assunta a pretesto per colpevolizzare una volta di più un’intera filiera, come avvenuto con le dichiarazioni di un rappresentante sindacale della Cgil, anche le considerazioni dello stesso rappresentante sindacale circa la precarietà del lavoro in cava o in segheria perdono qualsiasi credibilità.
Parlare di cottimo, di salari commisurati al numero di lastre movimentate, significa non conoscere e non voler conoscere nulla del lavoro nella filiera del marmo, ma anche insultare chi, ovvero le istituzioni a livello regionale e locale, ogni giorno effettua controlli sempre più puntuali e serrati sulle condizioni di sicurezza del lavoro, per altro in un rapporto di collaborazione fattiva delle imprese.
Purtroppo in cava, così come lungo la filiera del marmo, si sono verificati in passato incidenti, ma non è certo mentendo e costruendo castelli di menzogne che è possibile collaborare per garantire ai nostri lavoratori condizioni sempre migliori e standard di sicurezza sempre più efficaci.