«Entra» agli Uffizi l’amico di Michelangelo
La Galleria ha acquisito «Elia nel deserto» di Daniele da Volterra. Andrà nelle sale del ‘500
Fino a non troppo tempo fa la sua impresa più celebre era quella di aver messo le mutande al Giudizio universale di Michelangelo Buonarroti e lui era comunemente conosciuto con l’appellativo di «Braghettone». Poi, poco a poco, anche nella moderna storiografia ha iniziato a farsi strada la coscienza che Daniele da Volterra è un grande artista. Lo dimostra l’opera Elia nel deserto che un giustamente orgoglioso Eike Schmidt, direttore delle Gallerie degli Uffizi, ha presentato ieri quale ultima importante acquisizione che, sottolinea più volte Schmidt, troverà degna colloche nelle nuove sale, in via di gestazione, dedicate alla pittura del Cinquecento. Dove campeggerà affiancato a un’altra fondamentale opera di Daniele, quella Strage degli innocenti del 1557 già in origine nelle collezioni medicee. Elia nel deserto, databile fra il 1543 e il 1547, è un olio su tela, una delle poche opere mobili, meno di dieci, riconducibili a un artista che era grande nella pittura muraria e il cui lato scultoreo è ancora molto da indagare. Rappresenta un soggetto certo non usuale che sottende una meditazione eucaristica (vedi il pane e il vino in primo piano) ed è quasi un’avanguardia per la pittura ispirata dalla Controriforma. Figlio della lezione michelangiolesca, di cui Daniele da Volterra era discepolo e intimo amico (con le sue braghe dettate dalla furia moralizzatrice della Controriforma lui in realtà il «Giudizio» lo salvò, c’erano degli zelanti che indignati da quei nudi avrebbero voluto distruggerlo), è stata comprata dagli eredi stessi dell’artista, i conti Pannochieschi d’Elci, nelle cui collezioni era pervenuta tramite l’eredità della famiglia Ricciarelli (il vero nome di Daniele da Volterra), dopo essere stata per secoli custodita nella casa volcazione terrana dell’artista. Oggetto nell’ormai lontano 1979 di un vincolo, proposto dalla soprintendenza senese, insieme a una Madonna col bambino, San Giovannino e Santa Barbara, è grazie a quel vincolo, ne impedisce l’esportazione, che l’opera è alla fine venuta ad arricchire il patrimonio dello Stato. Lo sottolinea Alessandro Bagnoli della soprintendenza senese («e l’altra opera sta ancora lì», chiosa quasi invitante). Le cifre dell’operazione non sono date a sapere.
«C’è un divieto esplicito per i funzionari pubblici di divulgare questi numeri — ci spiega Schmidt — Nel bilancio di fine anno si pubblica solo la cifra complessiva investita negli acquisti». Ma una vaga idea è possibile farsela: nel settembre del 2016 un disegno di Daniele è stato battuto a Londra in asta da Christie’s 797 mila sterline (circa 925 mila euro). Per il dipinto in oggetto parrebbe che non si sia raggiunta tale cifra. Un affarone insomma, se si valuta anche l’importanza della cornice ottocentesca, frutto del lavoro, è sempre Bagnoli a sottolinearlo, dei più celebri intagliatori senesi.