Cento anni dei Bagni Fiume a Livorno Dove Picchi inventò il «gabbione» e i tuffi di Ringo lasciavano a bocca aperta
A Livorno lo stabilimento balneare nato nel 1918 con baracche e palafitte è ancora gestito dalla famiglia Neri Qui Picchi inventò il calcio in gabbia E le ore passano a giocare a carte all’ombra del «braccio della morte»
Sugli scogli
Ha come soprannome Re dei pescatori perché è un signore che con la canna tira su poco o nulla: «Sì perché io sono un passatempista»
Riparte oggi, dai Bagni Fiume di Livorno, il nostro viaggio sulle costa: reportage che racconteranno volti, storie e aneddoti di alcuni dei luoghi balneari simbolo del litorale toscano.
«Acciuga» si vede di LIVORNO rado. Le sue apparizioni a Livorno sono sporadiche. Benché abbia comprato casa sul lungomare di Antignano, incontrarlo è roba più unica che rara. Ha altro a cui pensare: alla Juventus, alla Champion’s League, ad amalgamare Dybala con Cristiano Ronaldo. A vincere di più. Eppure Massimiliano Allegri, a Livorno soprannominato «Acciuga» per la sua struttura longilinea, ai Bagni Fiume è uno di casa. Ci ha passato estati intere, tuffo dopo tuffo, gabbionata dopo gabbionata.
Per generazione sarà stato un estimatore di Mauro Serra detto Ringo Star, attrazione del trampolino a forma di «F» tra gli anni ’70, ‘80 e ’90. Armando Neri, classe 1964, che assieme ai cugini omonimi Tito Neri e Tito Neri (rispettivamente classe 1953 e 1956) gestisce i Bagni Fiume di Livorno, ricorda che ogni pomeriggio, dopo l’ora della pizza, gli altoparlanti annunciavano il tuffo di Ringo Star dalla piattaforma più alta. Sugli scogli, sui gradoni e sulle sdraio non si trovava più un posto. Ringo Star, detto anche il Re dei Bagni Fiume, si beava della propria notorietà. Con movimenti lenti saliva la scaletta fasciato nel costume ascellare nero, la cuffia e, a passi studiati, si avvicinava al bordo. Si lanciava quando il brusio si attenuava. Per un attimo restava come sospeso nel vuoto, a volo d’angelo oppure a braccia tese lungo il corpo. Pareva destinato alla panciata e invece, con agilità imprevista, si allungava in verticale. Ogni volta era un’ovazione.
Gli aneddoti si sprecano, nel bagno livornese che quest’anno celebra i cento anni di continuità gestionale. Fu Tito Neri, sulla scia del padre Costante, a fondare sul mare un impero economico tuttora florido. I Fiume iniziò a gestirli nel 1918. Erano baracche di legno e palafitte sostituite, dopo la guerra, con il cemento armato modellato in linee essenziali, curando un particolare trascurato altrove: le tettoie per l’ombra.
Sì, perché la tradizione vuole che a Livorno in estate si chiuda casa e ci si sposti al mare, dalla mattina a dopo il tramonto. La vita delle famiglie si svolge lì, davanti agli specchi d’acqua delimitati dalle due dighe curvilinee realizzate dall’impresa Neri con gli scogli di Capraia: dalle cabine spuntano tavolini e sedie, si fanno capannelli, si discute e si gioca a carte, si pranza e si cena, si godono il sole e l’ombra. Breve pausa notturna e la mattina dopo si riparte, da Santa Giulia (il 22 maggio) fin quasi a ottobre. Certuni sono clienti da
mezzo secolo. Mario Canessa di 79 anni, ad esempio, frequenta il lungo corridoio ombroso detto «Braccio della morte» dal 1961: «Ci ho trovato anche moglie», fa cenno verso una signora seduta sugli scogli della rotonda. Un po’ come Giovanni Verzoni, che da astemio qual è porta «Bacco» come primo soprannome e «Re dei pescatori» come secondo perché con la canna tira su poco o nulla: «Sono un “passatempista”, non un pescatore». Però è un formidabile giocatore di carte. A scopa, briscola e tressette non ha rivali: sa sempre cos’hanno in mano gli altri e vince facile. Da ex-gabbionista di rango, ha fatto un paio di gabbionate anche con Massimiliano Allegri, quando giocava nel Pescara: «Non è che lo conosca, eh… però ci ho giocato».
Già, i gabbioni, ristretti campi di calcio dove si gioca quattro contro quattro e, in casi rari, cinque contro cinque. La pavimentazione è di cemento, spiega Armando Neri, coperta da 4-5 strati di materiale tecnico per ridurre i danni da caduta. Ciò nonostante, quando si finisce per terra «ci si sbracìola», dicono da queste parti, benché il rischio delle braciole non dissuada nessuno. Fu Armando Picchi, il capitano della grande Inter, figlio della sorella di Tito Neri e assiduo frequentatore dei Bagni Fiume, a inventare i gabbioni. Con Facchetti, Suarez, Corso e altri ingaggiava partitelle sotto il sole ma il pallone, calciato da quelle gambe potenti abituate a misurarsi sui campi veri, quando non colpiva la signora che dormiva al sole, scavalcava le cabine e finiva nella confinante Spiaggia della Vela. Ogni volta era una noia andare a riprenderlo. Così Armandino mise delle reti attorno al rettangolo di gioco e poi pensò a coprirlo. Fu l’inizio di una moda, di una passione tutta labronica, esportata dai Fiume agli altri stabilimenti balneari.
Nelle gabbionate funziona il fattore età; se gli adulti non le disdegnano, di solito sono appannaggio dei giovani i quali, in percentuale, si concentrano ai Fiume più che in ogni altro stabilimento balneare livornese. Gli adolescenti movimentano
Amici miei
Ivano Lupi, 75 anni, è un saldatore in pensione: «Un amico ha avuto un ictus e io gli costruisco un corrimano per scendere in acqua»
i pomeriggi assolati e altrimenti oziosi. Si aggregano e si disuniscono come sciami, mettono da parte ogni tecnologia e si tuffano dalla piattaforma, si sfidano a pallavolo nell’acqua o sulla sabbia, giocano a carte nei corridoi del settore circolare riservato soprattutto a loro, vicino al «Braccio della morte»: minimo sei, massimo dieci per cabina. Ma chi vuole entrare e basta, spiega Armando Neri, con il biglietto d’ingresso paga anche lo spogliatoio e fruisce dei servizi: «Bastano 250 euro per passare la stagione al mare. Credo che le nostre tariffe siano tra le più basse della zona. Sei persone, con una spesa di 2.000 euro, vengono ai Fiume per tutta l’estate. Se consideri quanto costa una vacanza…».
Tariffe a parte, l’integrazione tra frequentatori ultra-decennali e ragazzi — tranne qualche episodio che non altera la statistica — è realizzata virtuosamente. Sarà per questo che ai Bagni Fiume, dove si sente parlare solo italiano, anzi toscano con inflessione livornese, si respira un’aria allegra e perennemente vacanziera. Non fosse per lo spettro della Bolkestein e del 2020, quando scadrà la proroga quinquennale, tutto filerebbe per il verso giusto, con i frequentatori storici che si saldano alla marea vociante e irrequieta dei teenagers.
A proposito di saldatura, Ivano Lupi, 75 anni, cammina nel corridoio del «Braccio della morte» impugnando un tubo cavo di alluminio anodizzato: «Un amico ha avuto un ictus e mi ha chiesto di fargli un corrimano per scendere in acqua. Ho detto ad Armando (Neri): c’è da comprare questo e quest’altro. Lui mi ha dato retta, ora finisco il lavoro». È stato saldatore al cantierino Neri della Calata Pisa, Ivano Lupi, e lavora a regola d’arte: «Mica come quello che dette qualche punto a un gradino della piattaforma per i tuffi senza usare la maschera e finì all’ospedale…», precisa con lo sguardo perso verso il mare.
Qui è così. Le storie dolorose si confondono con gli aneddoti, il presente si mescola con il passato, al futuro si guarda con spirito volitivo e fatalista al tempo stesso. Se poi si potesse tornare indietro nel tempo e rimescolarlo, con Ringo Star ai tuffi e Acciuga assieme ad Armandino nel gabbione, sarebbe il massimo.