«Il governo taglia, il territorio rischia»
Grassi, Italia Sicura: cancellati solo perché renziani, ma azzerare tutto è un errore
«Il governo ci ha tagliati — dice l’ex direttore di Italia Sicura Mauro Grassi — solo perché renziani. Ma il territorio resta in emergenza, tornare indietro è un rischio».
Il sito e l’hastag ci sono ancora, come la spiegazione. «Il Governo con #italiasicura ha scelto la strada della prevenzione superando la logica delle emergenze su dissesto idrogeologico, infrastrutture idriche ed edilizia scolastica». Ma la struttura Italia Sicura presso la Presidenza del Consiglio dei ministri non c’è più. Chiusa, anzi non rinnovata, dal nuovo governo Lega-M5S. Una struttura voluta da Renzi e guidata dai fiorentini Erasmo D’Angelis prima e da Mauro Grassi, ex dirigente della Regione Toscana, poi.
Grassi, partiamo dal bilancio: cosa avete fatto?
«La struttura ha agito sia sul dissesto idrogeologico che sulle scuole. Sul dissesto abbiamo seguito tre assi: un’attenzione rinnovata verso le grandi città, che sono a rischio da decenni, come Genova, Milano e Firenze; la connessione stabile tra i tanti soggetti che si occupano del tema, Regioni, ministeri, consorzi, Comuni, Province, Genio Civile, agenzia per la Coesione... Con una cabina di regia Roma; il varo di linee guida per la qualità della progettazione. Idem per l’edilizia scolastica. E abbiamo seguito passo passo i progetti ed i cantieri, con un monitoraggio centralizzato e unico realizzato assieme al ministero dell’Economia, varato per la prima volta».
Ieri il ministro dell’ambiente Sergio Costa ha scritto al «Corriere della Sera» per spiegare che l’emergenza non è più tale ed è bene che di ambiente si occupi il ministero dedicato.
«Le parole di Costa sul superamento dell’emergenza sono condivisibili in linea di principio, ma si scontrano con la realtà. I soldi dell’agenzia per la Coesione sono della Presidenza del Consiglio, quelli per le infrastrutture del relativo ministero, e cancellando la struttura di missione non si superano più le divisioni ministeriali, anche sui fondi. Proprio questo è il cuore della questione: una cabina unica permetteva di superare la frammentazione, di seguire i progetti, usare unitariamente soldi da più fondi. Un esempio? Quando sono arrivato a Italia Sicura c’era il piano Sarno del ministero dell’Ambiente, da 250 milioni, ma i fondi erano a disposizione della Presidenza del Consiglio perché fondi europei, non a disposizione del ministero dell’Ambiente».
Lei si è fatto un’idea del perché della decisione del governo?
«Di certo Italia Sicura è stata vista come una struttura di Renzi... Potevano semplicemente cambiarne i vertici, fare spoil system come era legittimo per un nuovo governo, e rinnovarla dato che ogni struttura di missione decade automaticamente con la fine dei governi. Invece hanno scelto diversamente. Ma tutti i temi restano sul campo».
Compresi i rischi per la tutela del territorio?
«Il fatto centrale, che propongo anche alla riflessione del ministro Costa, è che mentre sulle emergenze siamo avanti, preparatissimi negli interventi della Protezione Civile, sul tema della prevenzione del dissesto idrogeologico siamo indietro, siamo ancora in emergenza. E lo saremo per i prossimi cinque o dieci anni. Avere una struttura unica, essere appunto in “emergenza”, è necessario. Il rischio è che si torni a tanti piani, uno per ministero, e con meno fondi ed efficacia, vanificando il piano unico che avevamo redatto e portato avanti».
Cosa accadrà per l’edilizia scolastica?
«Anche qui, e lo dico senza alcun intento polemico, vedo rischi. Il ministero dell’Istruzione non ha nel suo Dna la capacità di gestire investimenti ed interventi, non è nella sua cultura, nelle sue competenze. Sarebbe meglio affidare questo settore, ora che Italia Sicura non c’è più, al ministero delle Infrastrutture, o creare un ministero dei Lavori pubblici».
La Toscana cosa rischia adesso?
«Niente di diverso dalla altre regioni. Noi volutamente abbiamo sempre nominato commissari delle opere i governatori e quindi è Rossi nel nostro caso che deve mettere in atto gli interventi, fare gli appalti. Noi, faccio chiarezza anche su questo, non abbiamo mai fatto appalti».
Che eredità pensa di aver lasciato?
«Oltre alle opere avviate, penso a quelle per la messa in sicurezza dell’Arno e di Firenze, abbiamo redatto all’80% un piano per le regioni del Centro e del Nord da 1,2 miliardi in sette anni per contrastare frane e alluvioni, 100 milioni dei quali per la Toscana. Il governo Gentiloni ha deciso con equilibrio di aspettare che fosse il nuovo governo a vararlo e spero si trovi un soggetto che lo gestisca, magari il ministero dell’Ambiente. E che soprattutto non si riparta da capo, azzerando progetti e perdendo tempo».
Avrebbe voluto fare di più? «Io, l’ex direttore della struttura D’Angelis e tutto lo staff, siamo felici del tweet di Matteo Renzi che si è detto orgoglioso di #italiasicura. Lo slogan di Renzi era 7 miliardi in 7 anni contro il dissesto, ma se contiamo gli 1,2 miliardi per il piano quasi pronto diventano 9 miliardi in 7 anni... Grazie all’essere una struttura della Presidenza del Consiglio abbiamo portato la spesa annua dalla media di 400 milioni dell’ultimo ventennio ad oltre un miliardo l’anno. Resta un rammarico, nonostante le tante battaglie: i soldi, come dicevo, ci sono, ma siamo stati più deboli, ci abbiamo messo molto più tempo del previsto nel dare i soldi alle Regioni e poi nei cantieri aperti. Il dramma del sistema Paese è proprio la difficoltà nel passare dagli investimenti alle realizzazioni».
Senza una struttura unica come la nostra il rischio è che si torni a tanti piani diversi, più difficili da finanziare e realizzare Un rischio per tutti
Potevano cambiare i vertici, fare spoil system com’era legittimo, invece no Spero che ora non riparta tutto daccapo