I FRATELLI FRANCESI E LA BEFFA DEI BALZELLI PER MUCCHE E MAIALI
Itoponimi che indicano cose che non ci sono più — su tutte, a Firenze, il dominio di questa o quella famiglia su una zona — hanno un fascino che manca a ciò che segna l’esistente. Così via del Ponte Sospeso, lì dritta e sobria a collegare le piazze Gaddi e Pier Vettori, reca memoria di una Firenze poco celebrata, ma non per questo meno prodiga di vicende: quella del primo ‘800. Furono infatti chiamati «sospesi» i due ponti che l’ultimo Granduca fece costruire all’inizio del XIX secolo, a monte e a valle dell’Arno. Quello a monte fu costruito dove oggi troviamo San Niccolò, in origine chiamato Ponte San Ferdinando, non tanto in ricordo dell’eremita dei boschi di Caiazzo quanto del granduca Ferdinando III, padre di Leopoldo II, al quale invece toccò quello dove oggi si trova Ponte alla Vittoria, intitolato a San Leopoldo (non per devozione verso il «Padre dei poveri» di Melk).
Erano «sospesi» perché lanciati da una sponda all’altra mediante corde d’acciaio, dalle quali calavano altre corde metalliche a sostenere le assi di legno. Specialista era la ditta francese dei Fratelli Seguin, a cui il granduca affidò il ponte San Leopoldo dopo aver sperimentato un modello nel parco della Villa di Poggio a Caiano. L’avrebbero costruito gratuitamente ma tenendolo in concessione per 104 anni, dato che dal 1837, anno dell’inaugurazione, il contratto avrebbe dovuto scadere nel 1941. Il Comune lo riscattò già nel 1910, mantenendo però il pedaggio.
I cittadini, che si aspettavano l’abolizione dell’odiato balzello, si ribellarono, scatenando tumulti anche sul ponte stesso. Nel ’14 fu reso gratis il passaggio per i pedoni ma non per le bestie: ovini e suini restarono a un centesimo, mentre il pedaggio per equini e bovini salì da quattro a cinque centesimi. Quattordici anni dopo, la popolazione salutò con gioia il concorso per il ponte della Vittoria, che vide la luce nel ’32, ma il pensiero del pedaggio fissò il suo nome, anzi soprannome visto che di San Leopoldo in città non v’è più traccia, nella strada dove un tempo chi arrivava dalla campagna con le bestie, già cominciava a tirar fuori i soldi.