Canto la Napoli dei miei miti
Alla Versiliana l’omaggio di Mariangela D’Abbraccio a Pino Daniele e Eduardo «Avanti nel loro tempo, i loro tragitti poetici sono complementari. Ma non hanno eredi»
Vademecum per fare della propria vita un grande palcoscenico stellato — secondo Mariangela D’Abbraccio. Primo: Eduardo De Filippo. «La mia porta che si spalanca sul teatro. Si è aperta così, casualmente. Come un abbraccio, con Luca che mi ha accolto nella sua compagnia». Secondo: Pino Daniele. «È lui che mi ha portato da Eduardo. Ero adolescente, suonavo in un gruppo, pensavo alla musica. Ma il mio sogno era fare l’attrice e allora Pino mi disse: ma come? Se è questo che ti interessa, devi incontrarlo, iniziare da lui». Così è stato. Terzo: Franco Zeffirelli. «Riuscite a immaginare cosa possa voler dire dedicare un intero mese solo per girare una scena? Ecco, è ciò che mi ha insegnato Zeffirelli, tenendomi un mese, con fatica, sudore, ma anche magia, io piccola zingarella della Traviata, portata lì perché ballerina». Quarto: Roberto Benigni, che la volle nel ruolo di uno degli angeli di Tu mi turbi: «Un fiume che non si arresta mai, nella vita, come in scena, travolgente». E quinto: Giorgio Albertazzi «che mi ha insegnato il senso di responsabilità di stare in scena».
Mariangela D’Abbraccio ha attraversato come una freccia la storia dello spettacolo d’autore italiano degli ultimi trentacinque anni, al fianco di alcuni dei massimi geni del palcoscenico, del cinema e della musica. Tre maestri fiorentini: Albertazzi, Zeffirelli, Benigni. Due mostri sacri napoletani: De Filippo e Pino Daniele. E lei, napoletana doc, figlia di quella stagione in cui il teatro di Eduardo tra tradizione e innovazione incontrava la musica di Pino Daniele, anch’essa protesa tra tradizione e innovazione, ha deciso di prendere questi due maestri e fonderli insieme in uno spettacolo creato e diretto da Consuelo Barilari: Napule è...n’ata storia che sarà in
Erano come due uomini con un’unica anima Lo stesso impegno civile, il senso dello stare al mondo e insieme alla gente Volevano entrare nella storia di una città meravigliosa trattata come una carta sporca
scena martedì alla Versiliana di Marina di Pietrasanta. Accompagnata dalla band Musica da Ripostiglio.
Chi erano Eduardo De Filippo e Pino Daniele per lei, Mariangela D’Abbraccio?
«Pino ha segnato la mia strada. Fisicamente intendo, perché mi prese appena in tempo quando stavo andando a Milano, al Piccolo da Strehler, e Pino mi convinse a dirottare il mio percorso verso De Filippo. Daniele era un punto di riferimento fondamentale per me e gli ho dato retta: capii che Pino ed Eduardo erano come due uomini con un’unica anima. Pino si nutriva di Eduardo e Eduardo sentiva Pino come prosecuzione del suo discorso. La stessa poetica, il medesimo impegno civile, il senso dello stare al mondo e insieme alla gente, di entrare così fortemente nella storia e nell’anima di quella Napoli di allora, meravigliosa ma trattata come una carta sporca. Per questo erano anni che sentivo il bisogno di realizzare questo spettacolo: lo avevo proposto a Luca De Filippo e allo stesso Pino Daniele poco prima che morissero. Ma era troppo tardi».
Ecco dunque il perché unirli insieme. Ora non rima- ne che svelare il come.
«Si mettono insieme già da soli molto bene, i loro tragitti poetici sono complementari, alcune canzoni di Pino hanno lo stesso titolo o tema di poesie di Eduardo: pensiamo ad Appocundria oa Baccalà. Ma anche ad Anna Magnani e O’ mare. Nello spettacolo non si avverte interruzione tra le parole di Eduardo e la musica di Pino, si intrecciano da sole in una mescolanza tale che potrei farne altri dieci di spettacoli».
Oltre ai due artisti, ci sono i due universi: tradizione e innovazione. In che relazione stanno tra loro, dialogano? Si passano il testimone?
«Entrambi sono stati sia tradizione che innovazione. Quando Eduardo mise in scena Filumena Marturano, una prostituta protagonista di un’opera che difende i diritti della famiglia — e pensiamo che eravamo nel 1947! — era una provocazione fortissima. Un’innovazione che è diventata tradizione. Lo stesso vale per Napoli milionaria: così duro, spigoloso, De Filippo metteva in scena la violenza con un piglio incredibile da innovatore. La stessa cosa vale per Pino: i primi dischi sono molto legati alle tradizione, poi si è trasformato. Due geni avanti rispetto al loro tempo che hanno reinventato e divorato la tradizione e portato Napoli nel mondo».
In cosa vediamo o non vediamo la loro eredità, oggi?
«L’eredità di De Filippo si è persa perché di Eduardo ne nasce uno ogni secolo e perché non si è formata una scuola davvero importante che ne portasse avanti la lezione, solo singoli bravi autori che però hanno vissuto in condizioni non favorevoli. Lo stesso per Pino: negli ultimi anni lo sentivo tanto sconcertato per la piega che aveva preso la musica. Forse da qualche parte ci sono un nuovo Eduardo e un nuovo Pino, ma saranno chiusi in casa e non li conosceremo mai, perché non ci sono le condizioni».
Nella sua formazione hanno avuto un ruolo importante anche tre grandi fiorentini...
«Di Zeffirelli ho un ricordo pazzesco all’inizio della mia carriera, sul set della Traviata. Invitò me e mia sorella nella sua villa di Positano tra star internazionali, per un mese, non lo dimenticherò mai. Benigni è un amico: un giorno era venuto a trovarmi a casa, arrivò prima di me e lo trovai a giocare a carte con il portiere del palazzo mentre mi aspettava. Ancora oggi lui, il portiere, non ci crede. Ma Roberto è così, spiazzante, sempre. Albertazzi è tutto: la trasformazione di una passione in professione ai livelli più alti, la sicurezza di credere in me stessa. Ha presente quando si dice che il gioco si fa serio? Ecco, con Giorgio si è fatto molto serio».
Albertazzi per me è stato tutto: la trasformazione di una passione in professione ai livelli più alti e la sicurezza di credere in me stessa E non dimenticherò mai quei giorni nella villa di Positano di Zeffirelli