LE VIE SENZA INCROCI DI PD E CINQUE STELLE
Nell’assemblea del Pd toscano del 21 luglio è stato presentato un documento progettuale che analizza il partito e la Toscana in vista della discussione congressuale. Il documento — redatto da un gruppo di lavoro coordinato da Riccardo Nocentini, cui hanno preso parte esponenti di tutte le anime del partito — in merito al contesto dell’economia regionale e delle prospettive di riforma, parte da una definita e chiara impostazione.
Si pone al centro dello sviluppo il ruolo delle imprese, da cui dipende l’attività economica e l’occupazione, ma si delineano forme di regolazione del libero mercato ai fini di ampliare il più possibile i livelli di benessere dei cittadini e si prospettano interventi decisi per la riduzione delle disuguaglianze in termini di reddito e ricchezza (con particolare accento al contrasto della povertà) e in termini di accesso ai servizi sociali fondamentali, in primo luogo la sanità e l’istruzione, per la parte che dipende dalle politiche regionali. Essendo le imprese al centro del processo economico, diventa fondamentale il meccanismo di finanziamento della loro attività e pertanto insostituibile è il ruolo del sistema finanziario e bancario, non demonizzato ma opportunamente regolato e controllato. L’impostazione seguita assegna poi una grande rilevanza allo sviluppo infrastrutturale della regione, sia per la manutenzione straordinaria delle città e delle periferie che per la grandi opere, in particolare per quelle che consentono una fornitura di elevata qualità dei servizi pubblici industriali come i trasporti, l’acqua, l’energia e l’ambiente. Il documento delinea anche la necessità di adeguare gli assetti istituzionali riguardanti gli enti pubblici che dovranno operare nella regione del futuro in cui, tra l’altro, la tradizionale dimensione distrettuale sarà inevitabilmente chiamata ad ampliarsi per accogliere lo sviluppo della nuova industria digitale. Non può non balzare agli occhi la profonda differenza tra la logica insita nel documento del Pd regionale e quella che Dario Di Vico su L’Economia del Corriere della Sera del 23 luglio, definisce l’economia confessionale del ministro Di Maio.
Il leader del M5S appare «animato da un radicato pregiudizio nei confronti del mercato e dell’impresa» dato che tende a raffigurare l’imprenditore tutto teso ad appropriarsi di risorse non sue. La democrazia economica è quindi sostituita da una visione «colpa-punizione», volta a sanare gli abusi commessi dal mercato. Questa interpretazione risulta evidente nel caso delle norme anti-delocalizzazione e in tutti gli interventi del Decreto Dignità, nonché nelle posizioni contrarie alle infrastrutture, non dichiarate esplicitamente solo per non irritare l’alleato leghista, e nella dura polemica con le banche. La politica economica sottesa è quella dell’intervento pubblico novecentesco, senza alcun ruolo per le istituzioni indipendenti e con strumenti finanziari diretti per realizzare più o meno nascoste nazionalizzazioni di imprese fuori mercato. Quanto al contrasto delle disuguaglianze e della povertà, tutto è demandato al messianico reddito di cittadinanza, per ottenere il quale saranno sacrificati strumenti assistenziali consolidati, e, almeno nella nostra regione, efficaci. In conclusione, se dovesse maturare in alcuni esponenti del Pd l’idea, per fermare la Lega, di un’alleanza con M5S (non così consistente in Toscana), in vista delle prossime tornate elettorali, dovrebbero spiegare come si potrebbero conciliare due visioni così irrimediabilmente distanti.