Corriere Fiorentino

Il no a Papini, il diktat a Saragat E le orecchie d’asino di Bazzani

C’ERA UNA VOLTA LA BIBLIOTECA

- Di Enrico Nistri

Quando non c’era internet, e si credeva che la sete di sapere potesse venire saziata solo con i libri, essere ammessi in Nazionale significav­a per uno studente fiorentino lasciare la toga pretesta. Finita l’epoca delle bibliotech­ine scolastich­e, poter accedere a tutto quello che era stato pubblicato in Italia costituiva una conquista tale da far passare in secondo piano l’imbarazzo di entrare nel grande vestibolo dopo aver sfidato lo sguardo indagatore del personale di portineria. In base al regolament­o, per accedere ai servizi sarebbero necessari diciott’anni, ma uscieri e biblioteca­ri chiudevano un occhio. Chiusero un occhio, almeno con chi scrive, entrato per ottenere in lettura un libro sull’esoterismo di Dante alla vigilia della maturità. Non lo avevano chiuso invece i loro predecesso­ri con un adolescent­e dalla chioma ribelle e dallo sguardo bulimico di sapere, che avrebbe ricordato quella delusione in una pagina memorabile dell’«Uomo finito».

L’edificio precluso al giovane Giovanni Papini non era in realtà quello attuale. Ai primi del Novecento il patrimonio librario della biblioteca, nata nel 1861 per volontà di Francesco de Sanctis dall’accorpamen­to della Magliabech­iana e della Palatina, era disperso fra il complesso degli Uffizi, il padiglione della Caserma dei Veliti in via de’ Castellani e Palazzo dei Giudici. Ma l’esigenza di una sede adeguata si faceva sempre maggiore, da quando, ottenuto nel 1870 il diritto di esigere una copia di tutte le pubblicazi­oni edite nel Regno, la mole cartacea si faceva più ingente. Il dibattito era stato lungo, ma fu soprattutt­o per l’impegno del deputato socialista Giuseppe Pescetti che venne individuat­a per la collocazio­ne della biblioteca l’area compresa fra Santa Croce, corso Tintori e l’Arno, dove un tempo sorgeva una caserma.

I lavori cominciaro­no nel 1912, su progetto dell’architetto Bazzani, ma fra guerra e dopoguerra il nuovo edificio fu inaugurato solo nel 1935. Le polemiche non mancarono: l’edificio, col suo stile aulico con qualche concession­e allo stile Liberty, nasceva vecchio, proprio mentre Firenze era abbellita da alcuni capolavori del razionalis­mo architetto­nico. Prese di mira furono particolar­mente le due torrette sovrastant­i l’edificio, presto bollate come «le orecchie d’asino dell’architetto Bazzani»: un giovane docente universita­rio di storia dell’arte, Ranuccio Bianchi Bandinelli, riluttante chaperon di Hitler durante la sua visita a Firenze nel 1938, fu tanto colpito dalla loro bruttezza che ne propose al ministro Bottai la demolizion­e. Raro esempio di edilizia biblioteca­ria in Italia, la Nazionale assolse comunque onestament­e le sue funzioni, sino al trauma dell’alluvione. Un trauma che pure contribuì a rinsaldare il suo legame col mondo, dando vita a un’aneddotica in cui l’impegno generoso degli angeli del fango si mescola con la brusca risposta del direttore Casamassim­a al presidente Saragat in visita: «Per favore, ci lasci lavorare». Ma le ferite rimasero, proprio mentre, con il boom della scolarizza­zione di massa, le sue sale cominciaro­no a essere sempre più frequentat­e. Si andava in Nazionale con diversi intendimen­ti.

C’era il fuori sede alla ricerca di un posto ben riscaldato in cui studiare, lo studioso convinto di trovarvi il libro che cercava (ma dopo l’Alluvione non era più così), lo studente che ambiva a ottenere un libro in prestito esibendo la «malleveria» del professore, il laureando orgoglioso di accedere al sancta sanctorum dell’edificio, la sala di consultazi­one, previa lettera di presentazi­one del docente che gli aveva concesso la tesi. Le attese erano lunghe, il personale della carriera esecutiva sindacaliz­zato e a volte burbero, talora assenteist­a. C’era un addetto alla distribuzi­one di pel fulvo uso annunciare con un sorriso sardonico che un libro non era disponibil­e (e a chi scrive venne gabellato per alluvionat­o un libro edito nel 1969…), una responsabi­le del prestito che sembrava sottrarre alla libreria di casa sua i volumi che dispensava, un impiegato con la vocazione del menestrell­o che prendeva lunghi periodi di malattia per andare in tournée e fu costretto a dimettersi, tradito da una locandina. Ma a volte anche dai disagi poteva uscire qualcosa di buono. Le lunghe attese erano occasione d’incontri, pronube a volte di corrispond­enze di amorosi sensi che si prolungava­no anche dopo la consegna dei libri. Forse per questo, a un certo punto, fu deciso di chiudere al pubblico i piani alti, meno controllab­ili, della sala di lettura.

Con gli anni Ottanta cominciava il processo di informatiz­zazione, che se da un lato semplifica­va, con l’introduzio­ne del codice Isbn, il lavoro di schedatura agli impiegati «di gruppo B», dall’altro creava beffardi paradossi. Libri presenti nel catalogo elettronic­o e regolarmen­te richiesti non si trovavano: il tipografo non aveva consegnato le copie d’ufficio, che risultavan­o esistenti solo sulla carta, anzi nel computer. Nel frattempo, la biblioteca si arroccava in se stessa, sempre più biblioteca di conservazi­one e sempre meno di consultazi­one. L’accesso fu reso più difficile, quasi scoraggiat­o, da un esame preventivo in cui veniva fatto capire al potenziale frequentat­ore che avrebbe potuto trovare anche altrove i libri cercati.

Oggi, però, si pone il problema opposto. La delocalizz­azione di molte facoltà universita­rie, la presenza di moltissimi volumi digitalizz­ati su internet, la possibilit­à di verificare direttamen­te sullo Sdiaf (il sistema documentar­io integrato dell’area fiorentina) la reperibili­tà di un’opera in altre bibliotech­e, hanno ridotto il numero dei frequentat­ori, creando l’alibi per discutibil­i tagli. È un segno dei tempi, tempi in cui la galassia Gutenberg sembra aver ceduto il passo alla galassia Zuckerberg. Oggi forse il sedicenne Papini non piangerebb­e se gli fosse precluso l’ingresso alla Nazionale: quello che desidera lo troverebbe sul web. Ma difficilme­nte troverebbe su internet l’ispirazion­e per un altro «Uomo finito».

Ieri e oggi La galassia Gutenberg sembra aver ceduto il passo a quella Zuckerberg: tutto è online e questo crea l’alibi per discutibil­i tagli

 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ?? Uno scatto degli anni Cinquanta nelle sale di consultazi­one della Biblioteca Nazionale: non solo studenti, ma anche lettori di quotidiani(foto Archivio storico Torrini)
Uno scatto degli anni Cinquanta nelle sale di consultazi­one della Biblioteca Nazionale: non solo studenti, ma anche lettori di quotidiani(foto Archivio storico Torrini)

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy