«Giusto far pagare, c’era poca sicurezza E i furbi lucravano»
CRISTINA ACIDINI
Quattro anni fa, quando partirono le domeniche gratuite ai musei statali, l’entusiasmo collettivo si tagliava col coltello. Ma lei, Cristina Acidini, fu tra i pochi a non lasciarsi prendere dal vortice dell’ottimismo. «Vediamo come va», disse. «Aspettiamo a giudicare». Oggi, 4 anni dopo, il suo giudizio qual è?
«Ho trovato tutta questa operazione assolutamente squalificante. Musei che una volta al mese venivano inondati di una quantità tale di persone che nemmeno ci si poteva girare nelle sale. Troppe file, impossibile apprezzare le opere. Un’esperienza tutt’altro che soddisfacente».
Quindi avrà accolto positivamente l’idea del ministro Bonisoli di abolirle a partire dall’autunno…
«Assolutamente sì. La trovo una proposta sensata, ben ponderata. Il ministro dice cosa giuste».
Il ministro dice anche che una cosa che prima costava un tot e poi te la ritrovai offerta gratuitamente, può apparire quasi una fregatura.
«È una teoria. Una teoria che ci sta». Quali sono stati, secondo lei, i difetti principali dell’operazione voluta da Renzi e Franceschini?
«A parte la qualità della visita al museo, che si abbassava notevolmente? Beh, direi la sicurezza delle opere stesse, che con tanta folla faceva ampiamente saltare i parametri standard, mettendo a rischio le opere. Più alto è il numero di visitatori in uno stretto lasso di tempo, minore è il livello di sicurezza. E poi, parlo per mia esperienza, il rischio che si corre è quello di far lucrare gli operatori turistici più furbi: quelli che vendono i pacchetti turistici completi e spesso mettono in conto ai clienti la visita agli Uffizi pagata. Che però è fissata quella domenica, e loro ci guadagnano sopra».
Rimane il fatto che il rito della domenica
La funzione educativa e sociale può esserci anche senza l’obbligo della gratuità Ma non possiamo sognare di essere la National Gallery di Londra Se avessimo avuto la forza di tenere aperto sempre gratis lo avremmo già fatto Ma il sistema non regge
gratuita aveva o dovrebbe avere uno scopo sociale, educativo, formativo…
«Vecchia teoria. Sentita troppe, troppe volte. Come principio è giusto. Ma solo come principio».
Il principio doveva diventare una «pratica», proprio grazie alle domeniche, no?
«Può diventarlo anche senza. Il ministro non chiude alla gratuità, chiude all’obbligo. La flessibilità di certe operazioni è una virtù. Entra in mezzo la discrezionalità dei direttori, così mi sembra una cosa più equilibrata, che tenga conto delle stagioni, dell’affluenza turistica, di tutti i parametri di compatibilità che hanno un peso in queste scelte».
Quindi lo Stato deve prendersi cura della formazione dei suoi cittadini anche nei musei?
«Iniziative in questo senso se ne sono sempre fatte. Pensiamo alla settimana della cultura che prima era a novembre, poi l’hanno spostata ad aprile-maggio, e anche in quel caso interferiva molto con la fruizione normale, con il periodo di visita delle scuole. Ripeto: obbligare alla gratuità è male, lasciare la scelta se mettere il biglietto o no è bene».
E allora il tanto decantato modello della National Gallery di Londra, aperta gratuitamente sempre?
«Uffa, sempre con questa storia. Posso dirlo? È roba fritta, rifritta, un dibattito non noto, stranoto. Se si potesse realisticamente fare anche da noi, sarebbe un grande gesto. E lo avremmo già fatto. Evidentemente non si può. Non pensiamoci più».
Ma perché non si può?
«Perché non siamo in grado, come sistema-Paese, nella cultura, di rinunciare a certi introiti. Per molti musei sono una questione di sopravvivenza».