Corriere Fiorentino

«Giusto far pagare, c’era poca sicurezza E i furbi lucravano»

CRISTINA ACIDINI

- Edoardo Semmola

Quattro anni fa, quando partirono le domeniche gratuite ai musei statali, l’entusiasmo collettivo si tagliava col coltello. Ma lei, Cristina Acidini, fu tra i pochi a non lasciarsi prendere dal vortice dell’ottimismo. «Vediamo come va», disse. «Aspettiamo a giudicare». Oggi, 4 anni dopo, il suo giudizio qual è?

«Ho trovato tutta questa operazione assolutame­nte squalifica­nte. Musei che una volta al mese venivano inondati di una quantità tale di persone che nemmeno ci si poteva girare nelle sale. Troppe file, impossibil­e apprezzare le opere. Un’esperienza tutt’altro che soddisface­nte».

Quindi avrà accolto positivame­nte l’idea del ministro Bonisoli di abolirle a partire dall’autunno…

«Assolutame­nte sì. La trovo una proposta sensata, ben ponderata. Il ministro dice cosa giuste».

Il ministro dice anche che una cosa che prima costava un tot e poi te la ritrovai offerta gratuitame­nte, può apparire quasi una fregatura.

«È una teoria. Una teoria che ci sta». Quali sono stati, secondo lei, i difetti principali dell’operazione voluta da Renzi e Franceschi­ni?

«A parte la qualità della visita al museo, che si abbassava notevolmen­te? Beh, direi la sicurezza delle opere stesse, che con tanta folla faceva ampiamente saltare i parametri standard, mettendo a rischio le opere. Più alto è il numero di visitatori in uno stretto lasso di tempo, minore è il livello di sicurezza. E poi, parlo per mia esperienza, il rischio che si corre è quello di far lucrare gli operatori turistici più furbi: quelli che vendono i pacchetti turistici completi e spesso mettono in conto ai clienti la visita agli Uffizi pagata. Che però è fissata quella domenica, e loro ci guadagnano sopra».

Rimane il fatto che il rito della domenica

La funzione educativa e sociale può esserci anche senza l’obbligo della gratuità Ma non possiamo sognare di essere la National Gallery di Londra Se avessimo avuto la forza di tenere aperto sempre gratis lo avremmo già fatto Ma il sistema non regge

gratuita aveva o dovrebbe avere uno scopo sociale, educativo, formativo…

«Vecchia teoria. Sentita troppe, troppe volte. Come principio è giusto. Ma solo come principio».

Il principio doveva diventare una «pratica», proprio grazie alle domeniche, no?

«Può diventarlo anche senza. Il ministro non chiude alla gratuità, chiude all’obbligo. La flessibili­tà di certe operazioni è una virtù. Entra in mezzo la discrezion­alità dei direttori, così mi sembra una cosa più equilibrat­a, che tenga conto delle stagioni, dell’affluenza turistica, di tutti i parametri di compatibil­ità che hanno un peso in queste scelte».

Quindi lo Stato deve prendersi cura della formazione dei suoi cittadini anche nei musei?

«Iniziative in questo senso se ne sono sempre fatte. Pensiamo alla settimana della cultura che prima era a novembre, poi l’hanno spostata ad aprile-maggio, e anche in quel caso interferiv­a molto con la fruizione normale, con il periodo di visita delle scuole. Ripeto: obbligare alla gratuità è male, lasciare la scelta se mettere il biglietto o no è bene».

E allora il tanto decantato modello della National Gallery di Londra, aperta gratuitame­nte sempre?

«Uffa, sempre con questa storia. Posso dirlo? È roba fritta, rifritta, un dibattito non noto, stranoto. Se si potesse realistica­mente fare anche da noi, sarebbe un grande gesto. E lo avremmo già fatto. Evidenteme­nte non si può. Non pensiamoci più».

Ma perché non si può?

«Perché non siamo in grado, come sistema-Paese, nella cultura, di rinunciare a certi introiti. Per molti musei sono una questione di sopravvive­nza».

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