Corriere Fiorentino

Un brivido sott’acqua (alle Isole Formiche)

Un gruppo di amici, la pesca in barca. E Francesca che scompare nel blu

- Di Jacopo La Forgia

La costa è molto lontana, in acqua siamo soli. Vorrei dormire ma non riesco, c’è un rollio cui non sono abituato. Alberto non ha buttato l’ancora, dice che non serve, che il mare è calmo; io tengo un occhio aperto e controllo quello che succede. È a poppa con Marco, sta annodando un filo a un gancetto di metallo. Un minuto fa ero sdraiato dove sono loro, lì è più fresco; poi mi hanno gridato di spostarmi.

«Con la canna da pesca te la cavi», dice Alberto, «ma il bolentino non l’hai mai usato, fatti spiegare bene».

Siamo a cento metri da tre isolotti, su una barca lunga quattro volte il mio corpo che odora di pesce e di benzina. Alberto e Marco stanno impalati e muovono solo le mani, in mezzo ai piedi gli fruscia il lungo filo trasparent­e. Alberto è piccolo, ha mani agili. Marco è più ingombrant­e e più impaziente.

«Ok, ok. Però fammi provare che imparo», dice.

Alberto pesca per divertimen­to, ogni tanto qualche orata ci scappa; Marco pesca per ossessione e non ha mai preso nulla. Io sono molto più bravo di loro, i pesci li prendo con la bocca. Li regalo a Francesca, che ora è seduta con i piedi fuori dalla barca e s’infila la muta smanicata da apneista.

«Ciro!», dice. Le vado vicino, mi mette una mano sulla testa e mi accarezza dietro alle orecchie.

«Allora, che vai a vedere?» le chiede Alberto. «Faccio il giro delle isole, pare passino i tonni».

Marco borbotta; sono troppo in fondo, non basta il fiato.

«Guarda che è brava, eh!», dice Alberto. Lei si volta, mette la maschera e va in acqua. La seguo.

Nuotiamo verso il più grande dei tre isolotti. Li hanno chiamati Formiche ma non gli somigliano per niente. Sono linee sottili che emergono dall’acqua.

Francesca pinneggia davanti a me. Ecco, siamo vicini alla Formica Grande, sopra si vede il faro bianco. Le onde scivolano sul bordo degli scogli, rivelano e nascondono piccoli granchi. Non m’interessan­o, non odorano di nulla. Francesca va giù. Per un paio di metri la seguo, di più non riesco; risalgo, guardo la sua ombra e penso.

Ci piacciamo molto, Francesca e io. Ci siamo incontrati in un giorno di pioggia, all’ingresso del suo palazzo. Io ero lì, affamato e solo. Lei ha aperto il portone e mi ha fatto cenno di entrare. Al tempo aveva paura di molte cose. Una era l’acqua del mare. «È buio lì dentro, » diceva, «ci stanno gli squali, le orche, i capodogli». Io dell’acqua non avevo timore, così un giorno l’ho portata a una grande spiaggia, le ho fatto chiudere gli occhi, le ho trottato davanti e lei mi ha seguito ascoltando i passi. Quando ha sentito il rumore delle onde si è seduta sulla sabbia. Le ho mordicchia­to una mano, si è rialzata e sempre con gli occhi chiusi ha corso verso l’acqua. Quando ha sentito il mare arrivarle alle caviglie ha aperto gli occhi. Ora andiamo spesso sott’acqua. Io prendo qualche piccolo pesce, lei va in fondo per osservare quelli più grandi.

Torna su, è un po’ delusa.

«Li vedo ma sono lontani, mi sa che oggi non ci arrivo. Mannaggia».

Torniamo alla barca e ci sdraiamo al sole. Io a poppa, loro sui cuscini a prora. Francesca è in mezzo con la testa appoggiata al braccio di Alberto. Marco pensa ai fatti suoi, tiene il bolentino con il filo in acqua e continua a pescare senza risultati. C’è calma, è bello.

«Allora non li hai mica trovati, i tonni», dice Marco dopo un po’. Appoggia il bolentino a terra, si alza lentamente in piedi. Ha un corpo grande, l’ombra protegge Alberto e Francesca dal sole. Aprono gli occhi e lo guardano.

«Forse ho visto qualcosa, ma passano molto in fondo, dopo ci riprovo». dice Giulia.

«Non sei stanca?», chiede Alberto sfilandole il braccio da sotto la testa e mettendosi a sedere.

«Sto meglio in acqua che fuori» dice lei guardando me.

Ora è sera, si è alzato il mare, la luce è calata. Francesca continua ad andare sotto e a tornare su.

Io non ho più il fiato di un tempo e la guardo dall’isolotto. Mi volto verso la barca e vedo Alberto e Marco. Sono più lontani di prima, fanno cenno a Francesca di tornare. Lei va giù di nuovo.

Mi assopisco. Per qualche secondo i respiri sono l’unico rumore che percepisco. Durante quei secondi non c’è altro. Il mare rimane silenzioso. I respiri fanno rumore. Poi dentro la testa passa un pesce nero.

Alzo la testa e spalanco gli occhi. Vedo delle bolle. Francesca non le fa mai quando è sott’acqua. Mi volto. Alberto è impalato. Marco si è buttato e nuota verso di noi.

Mi getto in acqua. Metto la testa sotto. Ho paura. Dov’è. Vedo solo blu. Torno a galla. Guardo su, cielo. Guardo intorno, acqua. Mi sento male. Devo stare tranquillo. Respiro a fondo. Vado giù. Spingo. È troppo lontana, la sento ma ancora non la vedo. Ma no, eccola! È vicina! Non smettere di muovere le pinne! Perché si ferma?

Non muove più le gambe ora. Fluttua. Risalgo, respiro ancora, torno di nuovo dentro.

Francesca è un pesce, mi dico. È come un pesce e io a pescare sono il migliore. Ora la prendo. La raggiungo e le mordo sulla spalla. Si riprende appena, rimette il corpo in verticale, alza la testa. La mordo ancora, più forte. Andiamo su per inerzia. Superficie. La mordo ancora, lei fa un respiro rotto cercando di mangiare aria. La lecco. Piange. La mordo ancora. Finalmente si muove, ma nella direzione sbagliata. Marco è ancora lontano ma nuota fortissimo. Le vado dietro, le mordo i polpacci, la guido verso di lui. Non ce la faccio più. Lei va avanti. Marco la prende. Io rimango indietro. Non ce la faccio più. Marco la riporta alla barca, Alberto la trascina dentro. Con le ultime forze mi getto anch’io in barca. Francesca è svenuta. Marco sa cosa fare, dice ad Alberto come spingere sul petto e le soffia in bocca. Barcollo, poi ritrovo una qualche stabilità, poi la riperdo. Stento a riprendere fiato. Abbaio fortissimo. Francesca vomita l’acqua, Marco l’abbraccia, Alberto piange. Io muoio, perché va tutto bene.

 ??  ?? Jacopo La Forgia (Roma, 1990) Come fotografo ha pubblicato reportage su Venezia, India e Romania. Come scrittore ha pubblicato racconti sull’antologia «Odi» (effequ, 2017) e sulle riviste, tra le altre, «Retabloid» «Fiction Issue», «Nazione Indiana»
Jacopo La Forgia (Roma, 1990) Come fotografo ha pubblicato reportage su Venezia, India e Romania. Come scrittore ha pubblicato racconti sull’antologia «Odi» (effequ, 2017) e sulle riviste, tra le altre, «Retabloid» «Fiction Issue», «Nazione Indiana»

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