Corriere Fiorentino

E il pugliese diventò Pisano (il mondo d’arte di Nicola)

Nicola arrivò in Toscana grazie a Federico II ma non dimenticò mai le origini e Castel del Monte Scultore e architetto rivoluzion­ò l’arte, con lui il figlio Giovanni che rafforzò la lezione del padre

- Di Enzo Fileno Carabba

Nicola prima di essere pisano fu pugliese. Lavorava alla corte di Federico II di Svevia. Un giorno Federico lo portò a vedere Castel del Monte, ancora in costruzion­e. La serenità ottagonale dell’edifico lo avvolse. «Cos’è questo posto? A cosa serve? Non mi sembra un castello come gli altri». Federico non rispose, sorrise, come sorrideva lui non sorrideva nessuno. Su Federico si raccontava­no molte storie. Una eccola: aveva fatto chiudere un uomo in una botte fino alla morte, per verificare se nella botte rimanesse imprigiona­ta l’anima e guardarla. Una storia falsa, speriamo, ma che vuole significar­e che cercava il lato visibile dell’invisibile. Nel 1247 Federico gli disse: «Andiamo». «Sì» rispose Nicola, che non aveva capito dove andavano. Federico non era un uomo con cui discutere. Lo portò a Pisa, dove Nicola lavorò per lungo tempo. Divenne Nicola Pisano. Sparsi di qua e di là, c’erano molti marmi antichi portati dall’armata dei pisani. Nicola si aggirava stupefatto imparandol­i a memoria, fu come aprire una botola nella mente e buttarci dentro quintali di figure. Tutto quello che aveva imparato lo restituì in forma di nuove opere. Innalzò il campanile di San Nicola, pendente come la famosa torre ma meno famoso, fatto in modo che coloro che salgono vedono sempre quelli che restano a terra e viceversa. Un’invenzione capriccios­a (in senso buono) che ha base ottagonale, come Castel del Monte. Le sue sculture cominciava­no a essere singoli individui, un’idea che era stata dimenticat­a. Nicola raccontava che un giorno tornò Federico e gli disse: «Andiamo». «Sì» rispose. Mi riporta in Puglia, pensò. Invece lo portò verso nord e poté vedere da vicino lo stile gotico, che a quel tempo non si chiamava così, perché la parola fu inventata più tardi da Vasari per dire che era robaccia barbara, da goti confusi. A Nicola quelle cattedrali piacquero, aprì la botola della sua mente e ce le buttò dentro a tonnellate. A Saint Denis, per un gioco di luce, vide una statua ammiccare. Tornato in Italia, a Lucca, sul portale di San Martino scolpì un Crocifisso che invece di trionfare sul mondo crolla su se stesso, e Giotto fu ispirato da sculture come questa per dipingere Gesù morente nella gravità terrestre. Fu colto da una passione per i pulpiti, forse per la loro compattezz­a, che fa pensare a un mondo concluso. Federico era morto. Ricordando­si del suo sorriso quella volta a Castel del Monte, Nicola scolpì pulpiti che sono una combinazio­ne di poligoni. A Pisa, in quello del battistero, alcune figure accennano a scostarsi dallo sfondo di pietra e a muoversi. Per rappresent­are la virtù della «Fortezza» tirò fuori un Ercole antico dalla botola della mente, e questa figura poi ispirò Michelange­lo per il David. Era lì che lavorava al pulpito quando arrivò in città Bonaventur­a da Bagnoregio, che gli disse: «Lasciati andare. La gente ha bisogno di pensare ma anche di commuovers­i». E poi citò se stesso: «Interroga il desiderio, non l’intelligen­za. Lo sposo, non il maestro. L’oscurità, non la chiarezza. Non la luce, ma il fuoco». Non si può dire che nella sua vita Nicola non abbia incontrato formidabil­i personaggi. «Sì» rispose perplesso. E lo fece. Scolpì la prima Madonna che sviene. Gli artisti di quel tempo non erano uomini soli. Noi diciamo «Nicola» e intendiamo anche altre persone. Tra i suoi collaborat­ori c’erano il figlio Giovanni e Arnolfo di Cambio. A Perugia Nicola e Giovanni realizzaro­no la prima fontana pubblica italiana. Il progetto, di Nicola, prevede la sovrapposi­zione di poligoni differenti, che intercetta­no la luce nella varie sfaccettat­ure, e forse è anche questo un ricordo di Castel del Monte. Giovanni scrisse sul marmo: «Questi sono i nomi degli eccellenti scultori della fontana: Nicola, famoso nell’arte, gradito per tutte le sue opere, fiore degli scultori e gratissimo fra i buoni. Genitore è il primo, figlio carissimo l’altro, che se non vuoi sbagliare dirai chiamarsi Giovanni. Pisani di nascita, a lungo siano sani». Giovanni non ne poteva più dei discorsi del padre sulle sue origini pugliesi. Per questo scrisse che era pisano anche lui. Negli anni che vennero, riempì le sue opere di iscrizioni per mettere a fuoco la propria identità. Un atteggiame­nto moderno che può essere fastidioso. D’altra parte, l’idea di mettere a fuoco l’identità l’aveva imparata dal padre, che la applicava alle statue. Giovanni la applicò a se stesso: voleva essere una vera e propria persona autonoma. «Basta con la Puglia e con Castel del Monte. Secondo me non ci sei mai stato! Per non parlare del viaggio in Francia. Sono tutte balle» ebbe il coraggio di urlare al padre. Effettivam­ente non è sicuro che Nicola sia andato in Francia, e certamente non c’è andato con Federico. Nicola invecchiò di colpo. Giovanni nell’iscrizione del Pulpito di Pistoia scrisse che aveva superato il padre. Se lo aveva superato, vuol dire che andavano nella stessa direzione. Rifiutò di fare un viaggio con lui in Puglia alla ricerca delle origini. Lavorò alla facciata del Duomo di Siena e, sforzandos­i di cacciarli dalla mente rafforzò, senza volerlo, i racconti fantastici di Nicola a proposito del suo viaggio nel nord, quando aveva visto le cattedrali gotiche. In quello slancio vertiginos­o verso l’alto Dio non stava comodo. Ci voleva qualcosa di più solido. E così lavorò a Siena dodici anni. Fece delle statue, per esempio quella della Sibilla, che tentano di uscire dalla facciata. A Siena stette benissimo, poi però interruppe la facciata e se ne andò precipitos­amente, come anni dopo farà Donatello. Chissà perché. Tornò dunque a Pisa e sul pulpito del Duomo scrisse. «Mostra di essere indegno colui che critica chi è degno di una corona (cioè lui) e chi lo riprova dimostra soltanto di essere riprovevol­e». Scolpì figure che scattano di qua e di là, continuand­o l’opera di liberazion­e delle statue iniziata dal padre, perché si staccasser­o dal lato invisibile e si facessero vedere bene, camminando nel mondo. Ormai Nicola non c’era più. Un giorno Giovanni fece un viaggio in Puglia e vide una statua di Federico, che quasi gli sorrise. Guardò negli occhi colui che non aveva mai conosciuto. Fu preso da una grande emozione. Quello era lo sguardo di suo padre. «Penso che andrò a visitare Castel del Monte», disse.

26 Continua. Le altre puntate: 13-27/11 e 11-31/12 2016; 22/1, 5-26/2; 12-26/3; 30/4, 28/5, 11/6, 9/7, 8/10, 19/11, 1727/12 2017, 10-20/1, 21/2/, 13/3, 26/4; 6/6/, 11-21/7

Nel pulpito del Battistero di Pisa tirò fuori un Ercole che ispirò Michelange­lo

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 ??  ?? La strage degli Innocenti di Giovanni Pisano (pulpito di Sant’Andrea di Pistoia) e l’ Ercole di Nicola Pisano (pulpito del Battistero di Pisa)
La strage degli Innocenti di Giovanni Pisano (pulpito di Sant’Andrea di Pistoia) e l’ Ercole di Nicola Pisano (pulpito del Battistero di Pisa)
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 ??  ?? Sopra il campanile di San Nicola a Pisa con la base ottagonale e pendente come la celebre Torre, a destra la statua di Nicola Pisano nel loggiato degli Uffizi
Sopra il campanile di San Nicola a Pisa con la base ottagonale e pendente come la celebre Torre, a destra la statua di Nicola Pisano nel loggiato degli Uffizi
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