Corriere Fiorentino

«Furono giorni da incubo E oggi sono spaventata»

LA TESTIMONE LIONELLA VITERBO

- Di Adam Smulevich

È diventata professore­ssa e poi preside forse proprio per quel che vide e subì allora. «Nell’estate del ‘38 andammo in vacanza a Livorno. Doveva essere una festa, si trasformò in un incubo».

Della Comunità ebraica fiorentina Lionella Viterbo Neppi Modona, 87 anni, è memoria storica e instancabi­le divulgatri­ce, autrice di numerosi volumi che hanno abbracciat­o le vicende di questa realtà attraverso i secoli. Non è raro trovarla nell’archivio storico, intenta a consultare vecchie carte, confrontar­e i dati raccolti, progettare nuovi impegni. Ma prima di dedicarsi a questa attività che molto la assorbe è stata docente e per 18 anni preside, protagonis­ta delle prime esperienze fiorentine di scuole a tempo pieno. Un impegno che nasce anche come risposta alle umiliazion­i subite in gioventù. Una brillante studentess­a ebrea cui, a partire dal ‘38, il regime fascista impedì l’accesso a qualsiasi istituto pubblico. Salvo riservarle, in occasione degli esami di terza elementare, l’imbarazzan­te compromess­o di una prova sostenuta insieme al fratello al riparo da sguardi «puri». Entrambi chiusi a chiave in una stanza: nessuno intorno, neppure un insegnante.

Professore­ssa Viterbo, tra poche settimane cadrà l’ottantesim­o anniversar­io dalla promulgazi­one delle Leggi razziali. Cosa ricorda di quei giorni?

«Fu un’esperienze traumatica, cui però arrivammo in qualche modo preparati. E questo in ragione del rapporto schietto che avevamo con i nostri genitori e parenti. L’estate del ‘38 la trascorrem­mo a Livorno: doveva essere una festa, si trasformò in un incubo. L’atmosfera era pesante. Fu chiaro a tutti che qualcosa si stava preparando. D’altronde bastava dare un’occhiata ai giornali, o a ignobili riviste come La difesa della razza, per rendersene conto. Noi, pur bambini, avemmo la possibilit­à di farlo. E fu decisivo per maturare una consapevol­ezza che ci rafforzò nei momenti più critici».

Quali furono le conseguenz­e più immediate per la vostra famiglia?

«In una generale indifferen­za, il tenore della nostra vita peggiorò drasticame­nte. Fino ad allora potevamo ritenerci una famiglia benestante, con un futuro roseo all’orizzonte. Ancora oggi penso con dolore alle possibilit­à di carriera negate a mio padre, Aldo Neppi Modona, che fu un celebre etruscolog­o e che perse la docenza a Roma. Non ebbero neanche il coraggio di dirglielo di persona. Per fortuna ebbe un incarico alla scuola ebraica, prima a Roma e poi a Firenze dove tornammo dopo alcuni anni trascorsi nella Capitale. Un doloroso ripiego».

Quanto l’ha segnata il trauma dell’esclusione?

«Profondame­nte. Ho avuto una bella vita, una bella famiglia, tante soddisfazi­oni. Ma, potrà forse sembrare una cosa piccola, ancora oggi entro con angoscia in una cucina. La mia innocenza spezzata fu infatti caratteriz­zata da tante ore sottratte al gioco, trascorse leggendo le ricette dell’Artusi a mia madre. Non potevamo più avere personale di servizio, le Leggi antiebraic­he lo impedivano, e quello era il mio modo di dare una mano in casa. Certo, eravamo più fortunati di altri, ci furono sicurament­e situazioni più estreme. Ma il trauma resta». Il primo di tanti...

«Come quella volta che, insieme a mio fratello, fui costretta a sostenere l’esame di terza elementare in una stanza chiusa a chiave, senza l’ombra di uno studente o di un maestro. Fu un’umiliazion­e tremenda, che mi ha spinta poi verso l’insegnamen­to. La mia personale vendetta... Il ‘38, bisogna che sia chiaro, fu solo l’inizio. La premessa alle politiche persecutor­ie messe poi in atto dal nazifascis­mo. Ci salvammo fortunosam­ente dalla Shoah, spostandoc­i tra Firenze, Impruneta e poi Anghiari. La gioia per l’armistizio fu davvero un attimo, il tempo di un brindisi insieme ad alcuni amici il pomeriggio dell’8 settembre del ‘43. Una vana illusione. Mio padre, messo tra gli altri in guardia dal rabbino capo Nathan Cassuto, poi ucciso ad Auschwitz, seppe muoversi con abilità per tirarci fuori da quell’incubo. Ripenso a quei giorni e mi sento fortunata. Anche se il presente un po’ mi spaventa...»

In che senso? «Percepisco un grande vuoto: di valori, di cultura, di consapevol­ezza. Sono rari gli studenti preparati con cui mi confronto su questi temi, merito senz’altro di insegnanti che svolgono al meglio la loro missione. Mi guardo intorno e tocco con mano un gran disastro educativo. E sul versante istituzion­ale ho la sensazione che non si stia tanto meglio. Mi verrebbe da dire: finché c’è Mattarella che nomina Liliana Segre senatrice a vita c’è speranza. Ma, a parte alcune eccezioni, sento tante parole sbagliate e inquietant­i».

Segnali

Bastava dare un’occhiata ai giornali per capire che qualcosa si stava preparando. Fu un trauma, ma ci arrivammo preparati

Ripercussi­oni

Mio padre perse la sua cattedra a Roma

Io fui poi costretta a sostenere l’esame di terza elementare chiusa a chiave in una stanza

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Lionella Viterbo Neppi Modona
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Lionella Viterbo Neppi Modona,

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