La corte degli ultimi Medici (tra splendori e perdizioni)
Esce domani il libro di Luca Scarlini sugli ultimi Medici e la loro corte Pubblichiamo il brano dedicato a Giuliano Dami che conquistò il granduca e fece carriera
Mercatale Val di Pesa e
Firenze, 1695-1697 Bello era bello, ma sempre con un che di losco e di infido: e d’altra parte oltre all’avvenenza non aveva altro capitale. Aveva capito da subito che lo doveva far fruttare, al massimo. Il padre, Agnolo, era ciabattino, «meschin’arte», come si diceva all’epoca; la madre, Catera, figlia ultima di un fabbro spiantatissimo e troppo prolifico. Quindi per il bel Giulianino, che era nato nelle terre di lavoro, da innaffiare con il sudore della fronte, a Mercatale Val di Pesa, non c’era che fare il contadino, sotto la guida dello zio Piero.
Ma questi operava nella tenuta del cavalier Marmi, mentre la mamma si dava a chiedere l’elemosina, e batteva raminga le campagne per raccogliere erbe e legna. Le fascine furono per Giuliano la sua insegna di battaglia: dopo che il fascino gli aveva conquistato il cuore e il sedere di Gian Gastone, si fece uno stemma con tre mucchi di legno, ricordando le sue origini miserabili, in effigie, a sfregio di tutti quelli che gli volevano male, che erano già tanti.
Prima, però, aveva capito che l’unica cosa che gli serviva nel fare il contadino era ancheggiare lascivamente sulla zappa e sulla vanga, facendo il meno possibile. Per primo lo adocchiò Marione, il sovrintendente delle coltivazioni dei marmi, che ci mise poco a capire con chi aveva a che fare. «Palle, te tu se’ sprecato ne’ campi, tu sa fare meglio artre cose». Ormai vecchio lo zio, il ragazzo si rimise alla marcia di avvicinamento per Firenze: a dorso di mulo raccoglieva immondizie e svuotava pozzi neri. Era bello sì, d’estate seminudo sempre, si strappava qualcosa dei suoi stracci per fare vedere le cosce sode e per qualcuno anche l’effluvio rivoltante del suo mestiere era un pimento erotico. Passò quindi da un prete miserabile, che lo affamava, al voluttuoso messer Bernardo, che lo cacciò perché non era abile a servire a tavola, anche se era un genio a lanciare sorrisi lascivi, sguardi in tralice, colpi d’occhio che significavano la disponibilità a tutto. Però era ancora coperto di stracci, la madre e le sorelle andavano per legna, il fratello minore agli Innocenti, e per lungo tempo ce lo lasciò, salvo poi farlo mandare al carcere di Portoferraio, perché lo ricattava.
Il Cancelliere Fabbrini lo tenne per poco a servizio, perché il bel vagheggino non aveva voglia di guidare il cavallo. Malgrado il suo poco talento, la sua malevolenza, la mancanza di volontà, ascendeva sempre più veloce verso la collina di Palazzo Pitti, a colpi d’anca. Fu poi dal Cavalier Lenzoni in Santa Croce, che gli faceva recitare il ruolo di contadino d’Arcadia. In seguito il Marchese Capponi, al Fondaccio di Santo Spirito, gli mise un completo all’ussara, che gli sottolineava i taurini attributi, di cui usava con parsimonia, non volendo dar troppo spazio al maleducatissimo ragazzo che a ogni prestazione sbraitava per una maggiore mercede. Infine arrivò Gian Gastone: Cupido incoccò e ferì a morte il figlio del Granduca. Urlò per avere il bel garzone dal Capponi e poi via verso la Germania, dove lo attendeva un matrimonio grottesco e sgraditissimo, che lo avrebbe deportato nelle fangose campagne di Boemia.
Eccolo lì: anima nera, Seiano, prima marchetta di Toscana, cazzo e culo del Granduca. In quattro stagioni di letto e moine era già presso la famiglia Medici, ma anni dovevano correre prima che arrivasse al suo vero potere. Al grande letto dove, allestiti da lui, si accoppiavano maschi e femmine detti ruspanti, perché per la loro ginnastica erano pagati in ruspi, monete sonanti. Divenne così potente che tutti a Firenze lo odiarono, senza rimedio. Quando Gian Gastone salì sul trono, tutto il potere fu nelle sue mani; il Granduca, ebbro di vino e di sesso, lasciava correre, gli affidava tutto.
Intraprendente D’estate era sempre seminudo e si strappava i suoi stracci per far vedere le cosce