Corriere Fiorentino

L’INTONACO DEL FALLIMENTO

- Di Alessio Gaggioli alessio.gaggioli@rcs.it

Il Palagiusti­zia ha sei anni, ma già cade a pezzi. Il primo crollo pochi mesi dopo l’inaugurazi­one. Poi tanti altri, fino all’ultimo del primo agosto scorso. E da ieri, dopo le già molte ristruttur­azioni subite, le reti di protezione come quelle che cingono i fianchi delle montagne che franano, è arrivato l’intonaco. Una sconfitta colossale. Colossale quanto la cifra spesa per realizzare il progetto di Leonardo Ricci: 150 milioni di euro per 20 anni di lavori. Nel mezzo un’inchiesta per truffa finita nel nulla. Un’altra aperta un anno fa e ora la terza dopo il cedimento dei giorni scorsi. Poi, una perizia di due ingegneri che ad edificio appena inaugurato diceva: «Pericolo per la vita umana, rischio altissimo». Tante cose sono successe. O forse nulla. Nulla ancora si sa del contenzios­o tra Palazzo Vecchio e l’azienda costruttri­ce, la cui risoluzion­e sarebbe utile a capire le cause della pioggia di lastre in gres o pietra serena che cadono dal Palagiusti­zia, e a chi spetta la riparazion­e. Si dice spesso che la giustizia ha i suoi tempi. Nel caso di Firenze, senza scomodare il tendone di Bari, siamo andati ben oltre. Ad oggi, con quattro crolli alle spalle in sei anni, nessuno o quasi è stato in grado di capire chi ha sbagliato. I lavori sono stati eseguiti a regola d’arte? Con materiali adeguati? A chi tocca la manutenzio­ne? Quali le cause dei crolli? Il Palagiusti­zia è sicuro? Qualcuno di certo ha sbagliato. Forse l’errore è stato all’origine, quando il progetto di Ricci — come ci disse nel 2012 sua moglie, l’architetto Maria Grazia Pucci Dallerba — «è stato stravolto da una pletora di ingegneri, consulenti, perfino segretarie». L’architettu­ra non è solo poesia. Il primo lotto dei lavori se lo aggiudicò la Inso col 37,5% del ribasso. Ecco la cruda realtà. «Parti per fare una cosa — rifletteva Pucci Dallerba — e te ne ritrovi un’altra. In Italia non si può fare architettu­ra perché comandano i capitolati, i subappalti, le imprese e l’insipienza allucinant­e delle amministra­zioni pubbliche e dei loro tecnici che fanno i padroni e interferis­cono su tutto». E alla fine una passata di intonaco. Come a voler cancellare un fallimento.

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