Corriere Fiorentino

Caso Scieri, la difesa del caporale «Non ero in caserma quel giorno»

Panella, arrestato per omicidio, davanti al giudice non dice altro. Ma c’è chi lo vide lì

- Antonella Mollica

Ha scelto di non rispondere al giudice Alessandro Panella, l’ex parà arrestato dopo diciannove anni per la morte di Emanuele Scieri, il giovane di 26 anni trovato morto nella caserma Gamerra dopo un’agonia lunga quasi tre giorni nel lontano agosto 1999. L’ex caporale accusato di omicidio volontario è arrivato a Pisa in treno da Cerveteri, dove da una settimana si trova agli arresti domiciliar­i, per l’interrogat­orio di garanzia davanti al giudice Giulio Cesare Cipolletta. Accompagna­to dai suoi avvocati, Tiziana Mannocci e Marco Meoli, è entrato in tribunale dal retro, schivando i giornalist­i, e si è avvalso della facoltà di non rispondere. Contro l’ordinanza i legali hanno annunciato che faranno ricorso al tribunale del Riesame.

«Non ero presente quel giorno in caserma — si è limitato a dire Panella al giudice fuori dal verbale — e non stavo scappando dall’Italia. Stavo solo tornando negli Stati Uniti dove vivo e lavoro». Panella è sposato con una donna americana e ha la quindi doppia cittadinan­za. Venerdì scorso sarebbe partito con un biglietto di sola andata per San Diego ma il gip l’ha fermato prima.

Secondo quanto ricostruit­o dalle indagini della squadra mobile di Firenze — coordinati dal procurator­e capo Alessandro Crini e dal pm Salvo Restuccia — Emanuele è stato ucciso dal nonnismo che in quegli anni regnava incontrast­ato nella caserma dei parà. Il giovane siciliano, laureato in legge, appena arrivato a Pisa per fare il servizio militare, sarebbe stato preso di mira dai «nonni».

I tre indagati dovevano essere in licenza dal 13 agosto, proprio il giorno in cui Emanuele sparì dentro la caserma senza che nessuno lo cercasse. Ma i registri cartacei di quei giorni, hanno accertato le indagini, sono stati manomessi. Alcune parti sono state cancellate con il «bianchetto» per non far risultare i tre presenti la notte in cui Emanuele venne picchiato e poi lasciato morire in una caserma deserta nei giorni di Ferragosto.

Un testimone ha invece raccontato agli investigat­ori di aver visto i tre molto agitati all’interno della caserma. Parlavano di qualcuno che era caduto, «sudavano freddo, dissero che avevano esagerato, che l’avevano fatta grossa e non sapevano come dirlo al colonnello. Quando si accorsero che avevo capito — è il racconto — Panella mi disse: se parli ti ammazzo». Il testimone, spettatore involontar­io del parlottare tra i tre, terrorizza­to dopo la scoperta del corpo di Emanuele, fuggì dalla caserma e tentò due volte il suicidio.

Anche un altro testimone, l’addetto al magazzino che all’epoca riforniva la caserma di stupefacen­ti, ha raccontato di aver visto quella notte Panella sbattere più volte la testa contro il muro, «come in uno stato di trance». Anche la madre di Panella, in una conversazi­one intercetta­ta dagli investigat­ori a maggio, involontar­iamente ha smentito l’alibi del figlio: è lei a dire che ricorda con certezza che il figlio tornò a casa il 14 agosto alle 14, rassicurat­a dal fatto che riteneva che la morte di Scieri fosse avvenuta nella notte tra il 14 e il 15 agosto.

Hanno scelto la linea del silenzio anche gli altri due indagati convocati dal pm Sisto Restuccia e dal procurator­e capo Alessandro Crini. Luigi Zabara, 39 anni di Frosinone, e Andrea Antico, 39 anni, originario di Lecce e attualment­e in servizio a Rimini nell’Esercito e consiglier­e comunale in un comune romagnolo, hanno detto di voler aspettare il deposito degli atti prima di rispondere a domande che riguardano fatti accaduti 19 anni fa.

Luigi Zabara, attualment­e disoccupat­o, nell’agosto 2017 ha scritto un libro, «Coscienza di piombo» che sembra ispirato alla vicenda della Gamerra.

In silenzio Anche gli altri due ex commiliton­i, convocati dai magistrati nei giorni scorsi, non hanno risposto alle domande del pm

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