Emigranti, come nel dopoguerra Nel 2017 6.500 toscani all’estero
In un anno 6.500 toscani all’estero Un boom, come nel dopoguerra
Toscani sempre più alla ricerca di opportunità all’estero. Più 18 per cento quelli che se ne sono andati nel 2017 rispetto all’anno precedente: circa 6.500 persone. I numeri sono contenuti nel rapporto «Italiani nel Mondo» redatto dalla Fondazione Migrantes. Il rapporto spiega che la spinta più importante all’esodo deriva dalla ricerca di lavoro, come succedeva nel dopoguerra. La meta prediletta, nonostante la Brexit, è la Gran Bretagna. La Toscana è seconda nella classifica nazionale delle migrazioni al femminile: nel flusso in uscita le donne sono il 46per cento.
L’emigrazione italiana è tornata sui livelli, drammatici, del secondo dopoguerra. E la Toscana nel 2017 ha registrato lo stesso incremento di lavoratori in fuga della Puglia: più 18 per cento rispetto all’anno precedente. I numeri sono contenuti nel rapporto «Italiani nel mondo» redatto ogni anno dalla Fondazione Migrantes, organismo pastorale della Cei. L’anno scorso dalla Toscana sono emigrate 6.502 persone (2.883 femmine e 3.619 maschi), contro le 5.504 del 2016 (2.409 femmine e 3.095 maschi). La Lombardia si è confermata la prima regione per numero assoluto di partenze (con quasi 23 mila emigrati, ma su una popolazione di 10 milioni di abitanti contro i 3,7 della nostra regione), la Toscana si segnala per l’incremento percentuale.
Secondo il rapporto della Fondazione Migrantes la prima spinta ad emigrare è ancora la ricerca di lavoro, non a caso ad espatriare sono soprattutto persone tra i 22 e i 55 anni di età. La meta prediletta, nonostante la Brexit, nel 2017 è stato il Regno Unito, che ha tolto alla Germania lo storico primato di destinazione per l’emigrazione italiana. Seguono Svizzera, Francia, Brasile e Stati Uniti. Paesi che negli anni della crisi, dal 2007 al 2017, hanno accolto circa 5 milioni di italiani, con un incremento complessivo di oltre il 60% degli arrivi: durante questo arco di tempo, facendo il saldo fra emigrazioni e rimpatri, oltre 72 mila persone hanno scelto di lasciare l’Italia. E la Toscana non ha fatto eccezione. Dalla nostra regione se ne vanno anche molte donne: la Toscana è seconda nella classifica nazionale delle emigrazioni al femminile (sono il 46,8% del totale), dietro solo al Molise (51,6%). Al contrario di quanto accade per altre regioni-locomotiva del Centro Nord, la Toscana non riesce ad attrarre i flussi migratori interni che si generano soprattutto dalla Calabria, dalla Basilicata e dalla Campania: i migranti che lasciano il meridione d’Italia scelgono principalmente l’Emilia-Romagna, il Trentino e la Lombardia.
E i numeri ufficiali, già preoccupanti, dei toscani che emigrano in cerca di lavoro, potrebbero essere solo la punta dell’iceberg. Caterina Ferrini, ricercatrice dell’Università per stranieri di Siena che ha collaborato all’ultima edizione del rapporto «Italiani nel mondo» della fondazione Migrantes, ipotizza che la cifra reale possa essere anche cinque volte tanto. E smonta un po’ il mito dei «cervelli in fuga», sottolineando che buona parte di coloro che si trasferiscono all’estero sono più braccia che cervelli — ossia lavoratori scarsamente qualificati — che si muovono in modo informale sfuggendo ai censimenti ufficiali, e che certo fanno meno notizia di un Alessio Figalli, lo studente della Normale che ha preferito la carriera accademica all’estero ed ha ottenuto il massimo riconoscimento per i giovani matematici. Spesso gli operai che si trasferiscono in un Paese straniero finiscono per sperimentare
Ferrini ha svolto una ricerca sul campo a Mannheim, in Germania, durata un anno, prestando particolare attenzione all’elemento linguistico come cartina di tornasole dei differenti modelli di emigrazione italiana. «Sicuramente dall’Italia si spostano in Europa giovani professionisti e dottori di ricerca che trovano accoglienza nelle Università e nelle grandi aziende che cercano lavoratori con profili altamente specializzati. Ma la gran parte di coloro che emigrano è composta da lavoratori con profili bassissimi, soprattutto provenienti dal Sud Italia». Giovani in cerca di un lavoro che si affidano ai social network per reperire le prime informazioni e spesso cadono in situazioni di autentico sfruttamento. «I binari dell’emigrazione a trazione familiare che si erano interrotti dopo gli anni Sessanta si stanno riaprendo — dice ancora Ferrini — Chi emigrò dopo la guerra oggi accoglie i nipoti che in Italia oggi non riescono a trovare lavoro: chi può usare questo canale è spesso avvantaggiato. Altri finiscono a lavorare per gli emigrati italiani della prima ora oggi diventati a loro volta imprenditori e si ritrovano a lavorare in nero, senza assicurazione, sfruttati. Come tanti immigrati da noi. Totalmente diverso è per i cosiddetti “cervelli”: parlano inglese, si integrano, comprano casa nel paese di arrivo, sono regolarmente censiti. Ma sono una minoranza».
La punta dell’iceberg Ferrini (UniSiena): la fuga dei cervelli è solo una parte del fenomeno La maggioranza sono braccia, operai che sfuggono alle statistiche