Video arte, videoclip E il museo diventa pop
Michael Jackson Keith Haring e Martin Creed lungo un viaggio di immagini e suoni
Il Santa Maria della Scala vara la svolta pop. Con la mostra Musica per gli occhi. Interferenze tra video arte, musica pop, videoclip, in programma da domani fino al 4 novembre (5 euro il biglietto di ingresso), il complesso museale si apre alle arti visive contemporanee. Una prima assoluta che porta la firma del curatore Luca Quattrocchi e segue la linea tracciata dal direttore Daniele Pitteri per il 2018: «Abbiamo scelto di lavorare sull’esplorazione dei linguaggi contemporanei nelle varie forme. Senza però dimenticare da dove veniamo — spiega — Perciò ci divertiamo a giocare proponendo alcuni pezzi del patrimonio esistente, magari meno conosciuti, insieme alle arti contemporanee». Nel percorso espositivo, che occupa alcune sale del sesto piano, a rubare la scena sono le grandi installazioni video. Proposte in varie forme e dimensioni: dagli schermi televisivi alle proiezioni su pannelli.
L’altra componente essenziale è l’elemento sonoro, che non va quasi mai di pari passo con il video. Quattrocchi ha voluto mischiare le carte, abbinando melodie pop a immagini di eventi storici, spesso drammatici: l’11 settembre, il nazismo, le occupazioni militari. E viceversa. Canzoni di denuncia politica e sociale che fanno da sottofondo a immagini leggere e fuori contesto. Come nel caso dell’ artista iracheno, Adel Abidin, che propone un testo forte propagandato negli anni ‘90 da Saddam Hussein sulla religione islamica, con sottotitoli in inglese e in lingua originale, e cantato in ambientazioni di epoche differenti. Oppure il regista americano Tom Kalin, che usa come sottofondo a una serie di immagini gioiose, il discorso contro l’omosessualità di un funzionario degli Stati Uniti in relazione al proliferare di malati di Aids. Per finire con l’artista polacca Katarzyna Kozyra, che gioca sulla sessualità sulle note di Gwen Stefani. Un video forte, tanto che nel cartellino gli organizzatori hanno posto un bollino rosso in segno di avvertenza. Meno impattante ma di spessore è il lavoro del danese Jesper Just, che produce video lavorando con le tecniche cinematografiche. L’allestimento, per un video di 8 minuti, prevede una sala insonorizzata, provvista di surround e totalmente al buio. Per Francesco Vezzoli invece quello del Santa Maria equivale al debutto con i video. L’artista bresciano presenta una trilogia con tre muse famose: Franca Valeri, che sogna di ritrovarsi in una discoteca con un motivo anni ‘70; Iva Zanicchi, che canta una sua canzone, e Valentina Cortese, che interpreta Help dei Beatles. «Mi piace dare a questa mostra un doppio livello di lettura. Uno più immediato e uno più complesso — spiega Quattrocchi — La musica pop si inserisce in questo contesto, accompagnando e contaminando le produzioni video. Un modo per avvicinare anche le giovani generazioni, che hanno confidenza con molte delle melodie proposte e che noi usiamo come grimaldello per veicolare determinati messaggi». La sezione incentrata sulla video arte, che annovera autori importanti come Martin Creed, Pipilotti Rist e Robert Boyd, è solo una delle tre che compongono l’esposizione. Le altre due sono dedicate ai videoclip, «il primo terreno di ibridazione tra pop music e arti», nota Pitteri. Ovvero alla realizzazione di questa particolare forma visiva secondo registi cinematografici di fama mondiale e artisti contemporanei di caratura internazionale. Tra i primi rientrano Michelangelo Antonioni, che ha girato Fotoromanza di Gianna Nannini, Wim Wenders con Souljacker Part I degli Eels, Luc Besson con Love
Profusion di Madonna, Roman Polanski con gli Angeli di Vasco Rossi e John Landis con il celeberrimo Thriller di Michael Jackson.
Nell’altra sezione invece figurano protagonisti come Andy Warhol, Vanessa Beecroft, Damien Hirst, Bansky e Keith Haring, Andres Serrano. «Alcuni sono messi in loop su grandi schermi posti su tre lati di una sala e devono essere ascoltati con cuffie wireless, mentre altri girano su una serie di televisori raggruppati al centro. L’obiettivo, mettendoli fianco a fianco, è far risaltare la differenza di interpretazione e di manualità tra chi sta abitualmente dietro la macchina da presa e chi produce arte in forme e materie differenti.
«Rispetto a una rassegna classica, un’esposizione contemporanea in un certo senso è più vicina a noi — sottolinea Quattrocchi — Le tematiche e gli strumenti utilizzati ci sono familiari e la musica pop, che ormai fa parte del nostro bagaglio culturale, ci aiuta a concentrarsi su argomenti centrali della nostra società».