Il giovane chef e il medico: «Ecco perché siamo andati via»
Il cuoco pratese Andrea Pancani non ha nemmeno trent’anni. Ma ha sempre avuto le idee chiare sul proprio futuro: fare quanta più esperienza possibile per poi decidere dove spenderla, anche a costo di lasciare «l’amata Toscana». A New York è divenuto executive chef del ristorante Sant Ambroeus di Manhattan. «La differenza non la fa solo lo stipendio, ma la mobilità nel business: tutto è più immediato — spiega al telefono dagli Stati Uniti —, ma il fatto che si possano raggiungere gli obiettivi molto più velocemente che in Italia».
Quando ha scelto d’andare all’estero, e perché? «È stata una decisione presa a soli 19 anni, quando dopo il lavoro che avevo iniziato a fare nella mia città e in Toscana, ho capito che solo il confronto e l’approfondimento fuori dai confini potevano darmi di più».
E allora, dove ha deciso di andare? «Ho lavorato Parigi e Londra, un anno per città, tenendo come base l’Italia, perché sono molto legato alla Toscana».
Ma senza paura di ripartire…
«A dire il vero ero tornato proprio per stare in Toscana, ma poco dopo c’è stata possibilità di scegliere New York e da lì ho avuto pochi dubbi».
Perché? Quali sono i vantaggi che ha messo sulla bilancia?
«La differenza non la fa solo lo stipendio, come si potrebbe pensare. Diciamo che per gli chef, anche considerata la tecnica e l’artigianalità che offrono accanto al grande impegno, le remunerazioni sono comunque alte nel mondo. Ma è la mobilità nel business che rende tutto diverso: qui ogni cosa è più immediata, dunque si possono raggiungere gli obiettivi molto più velocemente».
Mi faccia un esempio pratico.
«La velocità con cui ho ottenuto e
Qui è tutto immediato, gli obiettivi si raggiungono molto più velocemente che in Italia A 19 anni ho capito che fuori dai confini avrei avuto più chance
cambiato i posti di lavoro, con cui sono progredito, è l’esempio migliore. Sono arrivato a New York tre anni fa, lavorando per Le Cirque. Dopo pochi mesi ho avuto molte proposte ed ora ho scelto di lavorare come executive chef per Sant Ambroeus».
Ci sono altri vantaggi?
«Devo dire che qui lavora la persona a cui sono legato sentimentalmente, e questo costituisce di per sé un incentivo. Le ore di lavoro in cucina sono sempre lunghe e pesanti, i turni di 12/14 ore ci sono qui come nei ristoranti in Toscana. A New York però c’è un modo di vivere proiettato al consumo immediato e alla progressione continua. E poi c’è la toscanità, che spesa all’estero, nel mio settore, è un valore»
Sta dicendo che essere toscani in Toscana è peggio che essere toscani negli Usa? «Voglio dire che l’attenzione che gli Stati Uniti, come altri Paesi nel mondo, hanno per la nostra storia — soprattutto se associata alla conoscenza delle materie prime che possiamo vantare noi — è un’arma in più. Questo è un modo di amare le mie origini che mi è utile».
Ci sono cose per cui invece tornerebbe indietro?
«Diciamo che la cultura del lavoro veloce e della raggiungibilità della merce ad ogni ora, a volte, rischia di andare a discapito della qualità. Se non ci fosse questo sistema basato sulla competitività, del resto, non si raggiungerebbero questi risultati e non ci sarebbe la mobilità a cui facevo riferimento».
Pensa di tornare nella sua Prato o in Italia?
«Non ora, ho diversi traguardi da raggiungere qui. Per quest’anno mi accontenterò di venirci in vacanza, in inverno».
La toscanità è una carta da giocarsi all’estero: l’attenzione alla nostra storia e le conoscenze che abbiamo sono molto apprezzate E questo mi lega alle mie origini