Gnicche, il gentiluomo che ha ispirato Cristicchi
Giocatore febbrile era considerato il Robin Hood della Val di Chiana Una figura amata a cui nel 2011 Cristicchi e Riondino hanno dedicato uno spettacolo
Aveva un nome di suggestiva imponenza: Federico Gaudenzio Columazio Bobini. Ma veniva da una famiglia modesta: il babbo era bracciante agricolo, la mamma lavandaia a ore. Iscrissero il figlio alle scuole serali, sperando che imparasse almeno a leggere e a far di conto. Ma Ghigo, come era chiamato da ragazzo, ben prima che passasse alla storia col famoso e famigerato soprannome Gnicche, non aveva interesse per lo studio. Come scrive Sandro Matteoni (Ribelli e briganti di Toscana, Le Lettere), amava il gioco d’azzardo, la buona tavola e i bei vestiti. Tutte cose che richiedono denaro. L’unica maniera per averlo, visto che non aveva nessuna voglia di lavorare, era il furto. Rapido il passaggio all’aggressione per strada. Con il contorno di violenza per terrorizzare possidenti e sbirri, e di spietate, sanguinose vendette per farsi rispettare da chi avesse voluta voglia di far la spia.
Tra i briganti toscani dell’800, Gnicche merita uno dei primi posti per spietatezza e i verbali di polizia parlano chiaro. Ma perché ebbe quel soprannome? Tante le ipotesi. A noi piace questa. Gnicche fa rima con «cricche» e «cricche» o «cricca» è un gioco a carte. Ci si divertiva anche Machiavelli, quando, in esilio, si «ingaglioffiva» nell’osteria di San Casciano con i compagni di bevute e battute. E Gnicche amava giocare e scommettere. Un tipaccio. Ma nel Casentino, in Val di Chiana, nel Cortonese, sulle colline e nei boschi che circondavano Anghiari, nella campagne attorno ad Arezzo, molti contadini lo amavano, lo rispettavano, lo accoglievano nelle loro case, lo rifocillavano, lo nascondevano. Anche lui un Robin Hood che rubava ai ricchi per aiutare i poveri? Bè, se un povero lo tradiva e segnalava la sua presenza ai carabinieri, Gnicche trovava il modo, l’ora, il posto giusto per farlo fuori. E tuttavia una sorta di aura magica gli volteggiava sul capo da quando — men che ventenne era nato nel 1845 — si era dato alla macchia. Intendiamoci: non è che le plebi dell’Aretino — memori delle insorgenze contadine e antigiacobine dei Viva Maria a fine ‘700 — simpatizzassero per lui perché lo consideravano una sorta di eroe, ostile alla malvista, neonata Italia col marchio dei Savoia. No, non sventolava vessilli reazionari, ma si presentava per quello che era: un brigante. Di quelli che sanno usare bene pugnale, schioppo e rivoltella. Ma a chi pativa la fame dava spesso una mano. Torniamo ora a parlare del suo inseparabile pugnale. Siccome il nostro, che iniziò la sua non onorata carriera picchiando il padre e poi derubandolo, voleva esser apprezzato come «uomo d’onore» e «galantuomo», ecco un aneddoto. Gnicche era andato a giocare a carte in casa di certi signori cortonesi e per mostrare che non aveva paura di nessuno ma neppure intendeva minacciare nessuno e gli interessava dimostrare la sua abilità di giocatore, tirò fuor dalla tasca l’acuminata lama, regalandola al padrone di casa, il Sor Vittorio. E i discendenti conservano ancora nella loro villa di Cortona quel coltello, a memoria di Gnicche, giocatore d’azzardo, sì, ma leale. Diciamo subito che a volerlo un po’ «pirata» e un po’ «signore» i suoi ammiratori ci si son messi sin dall’anno della morte, avvenuta nel 1871, in un conflitto a fuoco con i carabinieri. E con tanto di risvolto glorioso. Dunque, Gnicche è a Tegoleto, in casa di una famiglia contadina, che, per amore o per forza, gli ha apparecchiato una gustosa cenetta, quando irrompono le forze dell’ordine. Lo catturano, lo ammanettano, lui si divincola, corre a perdifiato nella notte, inciampa in un arbusto, cade a terra. E si becca una scarica di fucileria. Ma un tipo come lui deve morire con un certo stile. E infatti fa i suoi complimenti al giovane militare che gli è accanto, dicendogli: «Sei stato bravo, prendi le mie armi, te le regalo».
Verità? Leggenda? Ce n’è da raccontare. Come la volta in cui, per sfuggire all’arresto, si traveste da donna, rubando i vestiti a una malcapitata e balla per una notte. Ci sono le avventure amorose, le donne che lo tradiscono, facendogli gli occhi dolci, e lui ci casca, va all’appuntamento amoroso e ci trova i carabinieri. Ci sono gli atti di generosità verso i poveri e i deboli, le fughe, la galera, le evasioni, le vendette, tremende vendette (anche una donna ammazzata a coltellate) che però gli «aficionado» considerano parte del suo mito. A uno spirito ribelle si perdona tutto. E a Gnicche hanno voluto e vogliono bene in tanti. A partire da Giovanni Fantoni da Ponte a Buriano che, a cadavere ancora caldo, gli dedica una composizione, anzi un «bruscello», in ottave (Per soprannome fu chiamato Gnicche,/ vuol bene a fiori, quadri, cuori e picche,/ a quindici anni non è giunto/ e per il gioco dorme poco e punto). Nel 2011, Davide Riondino con Simone Cristicchi, ne fece uno spettacolo. Ancor prima Francesco Guccini si interessò alla leggenda di Gnicche, raccontandola in un fumetto con disegni di Francesco Rubino. A ricordarlo, lungo la strada di San Fabiano, nelle campagne di Arezzo, un rudere, «La torre di Gnicche», uno dei suoi leggendari nascondigli. E, in città, in Piazza Grande il ristorante «La Bottega di Gnicche» dove il suo fantasma mangia senza che gli sbirri vengano a guastargli la serata.
2. Continua. La precedente puntata è uscita il 31 luglio 2018.