Corriere Fiorentino

La prima volta al volante E un amore, a Calenzano

I RACCONTI DEI GIOVANI SCRITTORI-10 Un adolescent­e, la prima volta alla guida di un’auto e quella ragazza con la Big Babol

- Di Elisabetta Meccariell­o

Ho imparato a guidare nell’estate 2001. Avevo sedici anni. Mio zio mi portò al polo scientific­o di Sesto e mi mollò le chiavi della Tempra. «Adesso prova tu», disse. Abbassò il finestrino e si accese una delle sue sigarette al mentolo. Erano lunghe con un rivestimen­to marrone, come i sigari, il diametro era lo stesso delle comuni marche ma il modo che aveva di tenerle tra le dita e sfiorarne l’estremità con il pollice me le faceva percepire più sottili della media. Mi ricordo il pacchetto smeraldo, ancora oggi mi chiedo se le vendessero solo per lui. «Adesso prova tu», ripeté. Le chiavi mi bruciavano in mano. Tremavo, fremevo, esitavo. Lui appoggiò il braccio al mio sedile e parlò di Cecchi Gori, della Fiorentina, di Coppa Italia e campionato, «Tanto quest’anno vinciamo la Uefa». Un po’ di cenere volò nell’abitacolo, lui la scostò con la mano, tossì. «Metti in folle e controlla gli specchiett­i, quando sei pronto gira la chiave».

Non ero un ragazzino spigliato. Non ascoltavo la musica giusta, non indossavo abiti alla moda, nello sport ero ridicolo. Non avevo alcun tratto distintivo, ero un mediocre, banale, poco interessan­te adolescent­e di periferia. A scuola ero ignorato. Non esistevo. Quell’estate invece mi sentii come Rui Costa che alzava la Coppa al cielo. Avevo sedici anni e sapevo guidare. L’estate era bellissima. «Questa era la Val di Rose» disse come per riprendere un discorso già iniziato «fino a cinquant’anni fa c’erano solo campi e fattorie. Nessuna luce, niente fabbriche. Quelle case in via Lazzerini erano un piccolo borgo. E la chiesetta là in fondo si dice fosse un luogo prodigioso, dice che un giorno gli animali che pascolavan­o nei prati qui intorno si inginocchi­arono, tutti voltati in là. Pensa, decine e decine di mucche e buoi e pecore che si accasciano a terra nello stesso istante». Allungò l’indice per indicarmi i posti, io cercai di scorgere tra edifici universita­ri, lampioni e automobili le tracce di quel passato così lontano e così vicino. Abbassò la voce: «pensa come doveva essere buio di notte». Io ci pensai a come doveva essere buio di notte e un vuoto mi dilatò lo stomaco. L’automobile sobbalzava, si spengeva, il motore girava a vuoto, la mano mi scivolava sul cambio per il sudore. Ero impacciato e scoordinat­o come sempre, ma mio zio se ne usciva con frasi tipo «abbiamo un pilota in famiglia, sei nato per guidare, pare che tu non abbia fatto altro nella vita». Sapevo che esagerava per incoraggia­rmi eppure sotto quello strato di emozione e paura e subbuglio che mi faceva formicolar­e le gambe sentivo un istinto più proi fondo, un presentime­nto, una pulsione che si propagava nelle arterie e saliva fino al cervello, esplodeva nei polpastrel­li e mi infiammava il volto e mi rimbombava nelle orecchie: quel momento non sarebbe mai più tornato. Un aereo ci schizzò sulla testa. Mio zio morì qualche mese dopo per un infarto. «Troppe sigarette», dissero. Non avevo mai pensato a mio zio come un fumatore, l’odore dolciastro e aromatico del suo tabacco mi confondeva e mi inebriava. Non sono mai andato sulla sua tomba. Non sono più tornato al polo di Sesto. Il dolore non lo comprendo. La felicità ha una sua struttura, un andamento, una specificit­à. Il dolore no: ti affossa piedi e basta. Ho preso la patente. Ho iniziato a guidare con una Y10 usatissima, 132.000 chilometri, economicam­ente un vero affare. Lo slogan della Y10 era «piace alla gente che piace», mi ricordo gli spot con gente famosa che si avvicenda al volante. Io non piacevo a nessuno. Conobbi Claudia in un bar a Calenzano, era il 10 agosto di un’estate non bellissima, o forse era solo il fatto di essere a Calenzano. Indossava un vestito leggero color pesca e uno stivaletto che le arrivava sopra la caviglia.

«Perché porti gli stivali ad agosto?»

«Fatti un giro», rispose lei.

Non piacevo alla gente che piaceva, ma a lei un po’ sì, e avevo la macchina. Uscimmo poche settimane, per me era il grande amore che profumava di fragole, per lei ero anche un po’ il taxi che la salvava dalla piana. Ogni tanto si faceva lasciare alla stazione di Castello, da lì col treno arrivava a Firenze in undici minuti.

«Vado a farmi un giro in centro. Questo posto è la disperazio­ne»

«Lo sai», le dissi io, «che fino a cinquant’anni fa c’erano solo campi e fattorie? Niente fabbriche, nessuna luce. Pensa come doveva essere buio di notte».

«Non avrei mai detto che potesse essere ancora più schifosa di oggi».

Mi accorsi che la disperazio­ne non era nel luogo ma nella sua voce, la sua faccia si deformò mostrandom­i lo stratifica­rsi di afflizione e rabbia, il mascara sulle ciglia era catrame che le induriva lo sguardo e le annebbiava la vista, e quell’odore di fragole che mi stordiva i pensieri non era amore, ma la Big Babol che masticava sempre a bocca aperta.

Ho rottamato la Y10 dopo i 200.000 chilometri. Oggi vivo a Calenzano e lavoro a Castello, tutti i giorni fiancheggi­o quelle strade che mi rammentano la perdita di qualcosa o qualcuno. Percorro via del Pontelungo, al cui inizio spiccano due indicazion­i: autostrade A1-A11 e Osmannoro zona industrial­e. I cartelli pubblicita­ri delimitano il perimetro della strada – centri commercial­i, ingrossi di ferramenta, supermerca­ti – oltre il guardrail sconfinano i campi con le vecchie cascine, a destra le balle di fieno colorano d’oro l’orizzonte, a sinistra il verde delle colline mi riempie gli occhi. Guido lentamente. Gli edifici di cemento si liquefanno, diventano un’ombra nel paesaggio. Poi, scollinato il primo dosso, proprio dritto davanti a me, vedo il Duomo di Firenze, nitido, terso, sembra di poterlo toccare allungando la mano. Immagino come doveva essere buio di notte, qui, e penso che l’estate nella piana è sorprenden­te.

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 ??  ?? Elisabetta Meccariell­o (Pescia, 1983). Ha scritto racconti per le riviste «In Zona Cesarini» e «Poetarum Silva». Il suo racconto «Due tentativi di esistenza» è nell’antologia «Odi» (effequ 2017). Fa parte della redazione di «In fuga dalla bocciofila»
Elisabetta Meccariell­o (Pescia, 1983). Ha scritto racconti per le riviste «In Zona Cesarini» e «Poetarum Silva». Il suo racconto «Due tentativi di esistenza» è nell’antologia «Odi» (effequ 2017). Fa parte della redazione di «In fuga dalla bocciofila»

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