Le alte mura delle Stinche: la prigione per Leonardo che oggi è il Teatro Verdi
Anche Leonardo da Vinci vi fu incarcerato (pur brevemente), con l’infamante accusa di sodomia e quel grande cubo di mura senza finestre faceva paura solo a passarci accanto.
Il carcere della Repubblica fiorentina aveva mura altissime, senza aperture, tranne la porta della «carretta» — così detta perché da lì uscivano legati sulla carretta i condannati a morte che erano avviati ai patiboli tra la Zecca Vecchia e l’attuale piazza Beccaria — e il grande cortile interno che era completamente circondato da un fossato tanto che presto i fiorentini lo chiamarono «l'isola delle Stinche». Il lugubre complesso, costruito usando anche le pietre delle torri e delle case della famiglia Uberti che furono rase al suolo nel 1266, prese il nome dai primi prigionieri che vi furono rinchiusi, i ghibellini che difendevano il castello delle Stinche, vicino tra Panzano in Chianti, proprietà dei Cavalcanti, e lo mantenne per sempre.
I birri del Comune vi portavano i delinquenti, ma anche chi non aveva pagato i debiti, i vagabondi, i matti, ogni genere di «deviante», e la tortura era praticata usualmente per far confessare i delitti veri o presunti.
Su un lato esterno del carcere che era nella zona di via Ghibellina, fu realizzato un grande lavatoio dell’Arte della Lana, dove non a caso c’è via dei Lavatoi. Alle Stinche finirono non solo delinquenti e disgraziati, le cui sofferenze erano alleviate da Compagnie caritatevoli come i Buononimi, ma anche illustri «ospiti»: oltre Leonardo, lo storico Giovanni Villani, coinvolto dal crack del banco dei Bardi, Giovanni Cavalcanti, Niccolò Machiavelli implicato nella congiura degli Orti Oricellari, Roberto Acciaioli, ambasciatore di Francia, e perfino la moglie di Francesco Gianfigliazzi, che era arrivata a Firenze nel 1440 travestita da uomo.
Le Stinche furono chiuse nel 1833 e abbattute, per realizzare appartamenti, una sala per spettacoli equestri e una sala per la Società Filarmonica Fiorentina, poi trasformato in quello che venne chiamato Teatro Pagliano, da Girolamo Pagliano, che aveva fatto fortuna in tutta Europa con il suo misterioso «elisir di lunga vita», e appassionato di canto. E infine, a partire dal Novecento nell’attuale Teatro Verdi.