DONNE E OPERAI ECCO LA TOSCANA CHE EMIGRA
Qualche giorno fa abbiamo applaudito il nostro matematico Alessio Figalli, laureato alla Normale di Pisa e vincitore della Medaglia Fields. Ma andrebbe ascoltato il monito del rettore della Normale, Vincenzo Barone, che su questo giornale ha indicato due principali motivi che spingono tanti giovani studiosi ad abbandonare le ottime università italiane: l’assenza di una cultura del merito e lo scarso sostegno alla ricerca. In questi giorni è fin troppo evidente un terzo fattore: la carenza pericolosa di una cultura scientifica, amplificata nelle aule parlamentari. Si parla troppo di immigrazione, che non preoccupa per i flussi, ma per la carenza nella rete di accoglienza. Si parla troppo poco del flusso sempre più ampio di emigrati italiani, e toscani. Secondo l’Ocse l’Italia è ottava, quarta in Europa, nella poco invidiabile graduatoria dei Paesi di provenienza di nuovi immigrati. La XII edizione del «Rapporto Italiani nel mondo» della Fondazione Migrantes fornisce un quadro allarmante. La classe di età più numerosa degli emigrati riguarda la fascia tra 35 e 49 anni, subito seguita da quella tra i 18 e i 34. In aumento i laureati, anche se meno numerosi di chi ha un titolo di studio medio-basso. La Toscana non sta bene. È ottava nella graduatoria regionale, con un incremento del 18,1% tra il 2017 e il 2016, al di sopra della media nazionale (15,4%), e diventa la seconda per la percentuale femminile, subito dopo il Molise. In maggioranza si tratta di operai o lavoratori a basso profilo professionale, che spesso ritornano. Firenze si distingue per l’elevato numero dei rimpatri, ma gli espatri sono in crescita e i laureati e i professionisti difficilmente ritornano. La nuova emigrazione produce impresa, professionalità, ricerca. E non intende recidere il legame con l’Italia. Se servisse ad arricchire l’imprenditoria e la ricerca italiane, sarebbe un bel volano. Ma, come si legge nel rapporto, «la mobilità è una risorsa, ma diventa dannosa se è a senso unico, quando cioè è una emorragia di talento e competenza da un unico posto e non è corrisposta da una forza di attrazione». Ogni emigrato rappresenta un investimento per il Paese, oltre che per la famiglia: 90.000 euro un diplomato, circa 170.000 un laureato e oltre 200.000 un dottore di ricerca. Dati di una ricerca Idos e Istituto di Studi Politici «S. Pio V» del 2016. Ci impoveriamo di risorse, private e statali, ma soprattutto di giovani. Come se non bastasse il già consistente calo demografico. E anche di laureati e ricercatori, che arricchiscono la scienza e la tecnologia in altri Paesi. Per non dire delle pensioni erogate dall’INPS all’estero, che si aggirano sul 2,2% del totale. Sarebbe necessario uno sforzo congiunto del governo regionale, degli imprenditori e dei centri universitari e di ricerca per proporre condizioni favorevoli al rientro. Un Paese ad elevato livello di sviluppo dovrebbe ritenere questa un’emergenza, regionale e nazionale. O crediamo davvero che possa esistere una decrescita felice?