Corriere Fiorentino

Le diocesi toscane e la dieta del Vaticano

L’ipotesi di accorpamen­ti agita i territori. Ma mancano sia i fedeli che i sacerdoti

- Di Mario Lancisi

Dopo il richiamo del Papa e della Conferenza episcopale italiana al dimagrimen­to del numero delle diocesi, gli scenari di riorganizz­azione della Chiesa toscana agita i territori. Ma le chiese sono sempre meno frequentat­e — soltanto il 21,5 per cento dei toscani va a messa regolarmen­te — e i seminari si svuotano. Ad alcuni sacerdoti sono state affidate anche sette parrocchie.

«Accorpare», insiste Papa Francesco, ma i vescovi da questo orecchio non sembrano sentirci granché: «Non è facile, ma credo che ci siano delle diocesi che si possono accorpare», ha ripetuto Bergoglio nell’ultima riunione della Cei, la Conferenza episcopale italiana. Intento difficile da realizzare, come riconosce lo stesso pontefice che viene dalla diocesi di Buenos Aires, grande quanto tutta la Toscana. Da noi, terra di Comuni, le diocesi sono molto sentite dai fedeli: guai a toccarle, un po’ come avviene per i municipi.

Papa Francesco non è il primo a voler usare le forbici. Già il Concordato del 1929 prevedeva una diminuzion­e delle diocesi, fino a farle coincidere con le province. Previsione rimasta però lettera morta. Le diocesi in Italia sono infatti 223, le province 110. In Toscana abbiamo 17 diocesi, sette più delle province (oltre all’abbazia di Monte Oliveto, che dipende dalla Santa Sede). La più grande è Firenze con 839.401 abitanti. La più piccola, guidata da un vescovo fiorentino, Stefano Manetti, 59 anni, ex rettore del seminario, è Montepulci­anoChiusi-Pienza, con 69.632 abitanti. Sotto i 100 mila abitanti sono anche le diocesi di Pitigliano-Sovana-Orbetello (70.129 abitanti) e Volterra (80.947).

«Piccolo è bello», si diceva qualche anno fa a proposito dell’economia. E quello slogan pare andar molto di moda nelle diocesi toscane. «Non credo che in linea di principio l’accorpamen­to sia la soluzione. Basti solo pensare all’inevitabil­e maggiore allontanam­ento dal popolo della figura del vescovo. Che se deve stare in mezzo alla gente, dietro e davanti, mescolato con le persone, non può retroceder­e su questo terreno. L’accorpamen­to mi pare produca soltanto maggiore distanza e ulteriore burocratiz­zazione della figura del vescovo», sostiene ad esempio quello di Pistoia, monsignor Fausto Tardelli.

Ma l’accorpamen­to delle diocesi è reso attuale e forse inevitabil­e, almeno in parte, dal calo crescente dei preti e delle parrocchie, oltre che dalle difficoltà economiche nella gestione di così numerose strutture ecclesiast­iche. Per ora di accorpamen­ti se ne parla nel segreto delle stanze curiali. Un’ipotesi che pare riscuotere consensi sarebbe quella della creazione di centri di servizio in cui convergano più diocesi, soprattutt­o quelle affini per territorio: «Si potrebbe recuperare il senso delle diocesi “metropolit­ane”, che in Toscana sono tre: Pisa, Siena e Firenze, un po’ come la aree vaste civili», spiega don Antonio Cecconi, parroco di Calci ed ex vicario della diocesi di Pisa.

I seminari ad esempio sono stati accorpati. Al vaglio c’è anche la possibilit­à «di forme di compensazi­one e perequazio­ne, col prestito di clero alle diocesi più povere da parte di quelle più ricche», aggiunge Cecconi. La distribuzi­one del clero è infatti molto disomogene­a. In Toscana ci sono 2.245 tra preti diocesani e religiosi: un prete ogni 1697 abitanti. La diocesi con più preti è Fiesole: un prete ogni 700 persone; la più sguarnita San Miniato, con un prete ogni 2.250 abitanti.

E in caso di accorpamen­ti? Una prima ipotesi in discussion­e prevede il taglio delle diocesi più piccole: Montepulci­ano-Chiusi–Pienza e Volterra. La prima potrebbe essere accorpata a Siena, ma anche essere salvata incorporan­do i territori comunale di Cortona (attualment­e nella diocesi di Arezzo-Sansepolcr­o) e di Montalcino. Volterra invece potrebbe essere accorpata a Pisa, nel qual caso dovrebbero essere ridefiniti i confini, visto che attualment­e si estende su cinque province diverse. Quindi, nel momento in cui dovesse venire accorpata a Pisa, potrebbe perdere alcuni territori che andrebbero in altre diocesi (per esempio, i Comuni di Cecina e Bibbona potrebbero andare alla diocesi di Livorno o a quella di Massa Marittima-Piombino). Infine Pitigliano-Sovana-Orbetello, che potrebbe essere accorpata a Grosseto.

Se invece ci fosse la volontà di procedere ad una revisione più ampia e incisiva, potrebbero essere a rischio altre diocesi. Come Pescia, ad esempio, che potrebbe essere accorpata a Pistoia. In questo caso perderebbe alcuni territori, come Altopascio, in favore di Lucca. Massa MarittimaP­iombino potrebbe essere così smembrata: Massa con Grosseto e Piombino con Livorno. Se Piombino venisse inclusa nella diocesi di Livorno però non ci sarebbe continuità territoria­le, dato che la diocesi di Pisa arriva fin sul mare di San Pietro in Palazzi, a Cecina.

Un bel rompicapo.

A meno di non sparigliar­e le carte come propone il monaco Guidalbert­o Bormolini, che invita a preoccupar­si delle «pecore più che dell’ovile», dei fedeli piuttosto che delle strutture ecclesiast­iche. «Dobbiamo accettare di non essere più una Chiesa radicata e diffusa ovunque. E questa più che una sconfitta è l’occasione di tornare veramente apostoli. Pronti ad una nuova evangelizz­azione», propone il monaco fiorentino.

Monsignor Tardelli L’accorpamen­to non è la soluzione. Basti pensare all’inevitabil­e allontanam­ento dal popolo della figura del vescovo

Don Cecconi Si potrebbe recuperare il senso delle diocesi metropolit­ane, che in Toscana sono tre: Pisa, Siena e Firenze. Un po’ come la aree vaste

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Il Papa con mons. Gualtiero Bassetti, presidente della Cei
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