Corriere Fiorentino

L’OMBRA DEL RAZZISMO E IL RUOLO DEI MEDIA DA VICOFARO A DAISY

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Caro direttore, il rumore mediatico del caso Pistoia è così sproporzio­nato rispetto al fatto in sé da oscurare i reali contorni dell’episodio. Se mi consente, chiedo quindi ospitalità per proporre la seguente ricostruzi­one.

1) Tutto nasce, come noto, dal tweet notturno di don Biancalani, parroco di Vicofaro: «Italiani hanno sparato a un mio migrante, per fortuna rimasto illeso, gridando negro bastardo». Stando però alle prove del momento, il sacerdote poteva solo dire: «Abbiamo sentito sparare dopo che due italiani hanno incontrato il migrante».

2) Dunque una fake news, una balla dettata da evidente emozione, cui la stampa ha però subito abboccato complice l’ancora fresco caso Daisy (che con Pistoia ha molte analogie) di razzismo più presunto che vero. Perché una balla? Perché, che si sappia, nessuno ha sparato verso il migrante. Lui stesso non dice che gli è stata puntata la pistola, ma solo di aver sentito gli spari dopo l’incrocio con i ragazzi.

3) Non dice neanche che si tratta di ragazzini (13 anni) pur avendoli visti. Parla di italiani, lasciando così pensare ad adulti. Inoltre tutto è accaduto in una zona abitata. Vicofaro non è una sperduta località di campagna, bensì un quartiere di Pistoia.

4) Rintraccia­ti dai militari, i ragazzini ammettono di aver sparato, uno scherzo con una scacciacan­i, che fa rumore e paura come un petardo, ma appunto non ferisce.

5) Hanno sparato al migrante mirando alle spalle oppure in aria? Non si sa. Il migrante non ha visto. Dunque la balla di don Biancalani era proprio una balla. Peccato che, amplificat­a dai social e dai media, abbia procurato allarme e infangato una città senza uno straccio di verifica iniziale. Bastava delegare i Carabinier­i. 6) Resta il «negro bastardo». Davvero i ragazzi l’hanno detto? Possibile (in effetti i ragazzi hanno confermato gli insulti razzisti ai carabinier­i, ndr). Ma se negassero, non resta che credere al migrante. Basta però la sua parola? Ossia: anche in tema di razzismo vale lo spietato #metoo per condannare?

7) Idem nel caso Daisy, sedicente «vittima perché nera» di «razzismo al 120%» (sic), prima che si scoprisse la banale verità dei tre balordi liceali che già avevano tirato uova anche a ragazze bianche e anziani.

Detto ciò, non stupisco né di Daisy né di don Biancalani, quanto della totale mancanza di cautela dei media nel maneggiare questioni esplosive. Invece di verificare, come raccomanda il mestiere, si sono gettati alla cieca sulla notizia facendola lievitare a dismisura. Alimentand­o artificios­amente la campagna che vuole l’Italia ormai succursale del KKK. Malgrado Salvini e qualche episodio riprovevol­e, non mi pare che siamo a questo punto. Anzi. Gli italiani, per quanto inquieti e insicuri, continuano a essere brava gente. Riccardo Catola

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(p.e.) Il problema dell’enfatizzaz­ione è reale e non solo per il caso di Vicofaro. È il frutto di una stagione che rischia di far regredire ancora una volta la coscienza civile del Paese. E anche dei pessimi esempi che arrivano dall’alto, perfino dalle sedi istituzion­ali. Parole fuori luogo, iperboli, toni bellicosi. E le parole ispirano spesso, come la storia dimostra, le azioni degli sconsidera­ti. I media hanno il dovere di verificare le notizie, ancora più rigorosame­nte quando la cronaca investe fronti delicati come la sicurezza, l’immigrazio­ne, la xenofobia. Ma hanno anche il compito di tenere alzata la guardia di fronte a episodi allarmanti. Due ragazzini che inneggiano al razzismo non sono una piaga sociale, però sono la spia di un clima in cui si comincia a sentire il tanfo dell’intolleran­za. In un’Italia fatta di brava gente, certo, eppure anche qui nel secolo scorso tanta brava gente finì per assuefarsi a discrimina­zioni che ora ci sembrano insopporta­bili.

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