Il giallo di Santa Prassede
Due copie quasi identiche per un quadro su cui dal ‘600 aleggia un mistero Una è del toscano Ficherelli, l’altra è stata attribuita a Vermeer. Ma forse solo per soldi...
Santa Prassede nascose nella sua dimora molti cristiani inseguiti dall’imperatore Antonino Pio, ma l’autorità imperiale li scovò e sottopose a atroci pene. Per solito la sua iconografia è quella di un lavoro indefesso di pulizia e conservazione del sangue dei martiri, da sola, o insieme con la sorella santa, dal nome di Pudenziana. Un magnifico quadro di Felice Ficherelli, nativo di San Gimignano detto ironicamente il Riposo per le sue abitudini di lavoro spesso rilassate, «tanto quieto e amico del suo comodo» (dalla nativa San Gimignano raggiunse Firenze, e questo fu pressoché l’unico suo gran viaggio) rappresenta la mistica signora che raccoglie tutto il preziosissimo liquido dentro un prezioso versatoio d’argento.
L’artista era famoso in specie per un magnifico Tarquinio e Lucrezia, intriso di sensualità e violenza, conservato all’Accademia di San Luca a Roma, che venne riconosciuto come sua opera da Mina Gregori. Malgrado non ne parlasse il Baldinucci era un’opera celebre: Fragonard ne vide e apprezzò una copia in casa Isolani a Bologna. Speciale è però il destino di questa rappresentazione di Prassede, in origine nella pinacoteca dei Bardi Serzelli, oggi l’opera più nota dell’artista, alla cui vicenda si ispirarono vari pittori, nell’ultimo scorcio della dinastia Medici. Due sono le copie conosciute di quest’opera una dimora, senza dubbi, nella collezione Fergnani di Ferrara. La prima invece, ha una vicenda romanzesca, ancora all’ultima vendita presso Christie’s nel 2014, l’opera era data come di Vermeer o di Ficherelli. L’attesa di vendita era di 6.000.000 di sterline e l’opera è stata assegnata a un collezionista sconosciuto per una cifra superiore di 200.000. Eppure, malgrado i rispettabili zeri, molti studiosi non vogliono inserire questa opera nel ristretto canone delle opere di Vermeer, che assomma a trentaquattro opere. La genealogia degli acquisti è stata ricostruita in parte, ma mancano molti passaggi: l’opera venne acquistata a New York da due profughi belgi, i coniugi Reder che la ebbero fino alla morte; già nel 1969 il quadro era stato esposto come Ficherelli a New York, ma il duello tra gli studiosi continuava intorno a due scritte (che potrebbero essere più tarde o manipolate) Meer 1665 o (Ver)meer da Riposo. Le due versioni sono gemelle, questa ha come unica differenza un crocifisso posto nelle mani della santa, nel frattempo Prassede era approdata nella collezione di Barbara Piasecka-Johnson illustre raccoglitrice di opere caravaggesche.
Il punto è per ora senza soluzione: è fuori discussione che il pigro Riposo abbia fatto un viaggio tra geli e nebbie dei Paesi Bassi, non si conoscono copie dell’opera nelle collezioni olandesi, e rimane l’enorme interrogativo se il pittore di Delft sia mai venuto in Italia. Molti teorizzano questo suo viaggio di istruzione, in cui si sarebbe confrontato con la lezione caravaggesca. In questa direzione non c’è alcuna prova, e la Santa dipinta squisitamente da Ficherelli, sarebbe la prova di un suo soggiorno, anche perché l’opera è diversissima dai consueti interni del maestro olandese. Su questo assunto, si basava, peraltro, la celebre truffa del falsario Han van Megereen, che vendette a Hermann Göring, rivale nella caccia ai Vermeer di Hitler (che si era preso e tenne fino all’ultimo il meraviglioso Astronomo del Louvre) il suo Cristo e l’adultera.
Il pittore, che odiava l’arte moderna, aveva iniziato a questo gesto, come una provocazione al mondo dei critici e degli storici dell’arte, che avrebbe voluto sbugiardare, ma come in altri casi non poté resistere all’infinita quantità di fiorini, marchi, franchi e dollari che arrivarono nelle sue casse. La sua riflessione lo aveva portato a inventare un Vermeer caravaggesco, La cena in Emmaus, ispirata all’omonimo capolavoro di Caravaggio conservato a Brera, su cui si scatenò una clamorosa bagarre, che si concluse con l’acquisto da parte del museo Boijmans di Rotterdam, fortemente sostenuto dall’arcinemico di van Megeeren, Abraham Bredius, decano degli studi vermeeriani. Dopo la guerra in Olanda erano previste pene severe per chi aveva venduto opere del patrimonio nazionale al nemico. Infine Van Megereen, dovette confessare di essere un falsario; il tribunale lo costrinse a dimostrare la sua affermazione e in qualche mese, scarcerato, compì l’opera divenendo nel frattempo un paradossale eroe olandese, per avere ingannato il gerarca nazista; scomparve poco dopo per gli strapazzi, e per l’esito di una dipendenza di lunga data da morfina, alcol e altre droghe. Malgrado tutte le ipotesi che si sono susseguite sull’opera non c’è certezza: si parla di un falso di fine Ottocento o di una copia di un artista fiorentino contemporaneo al Ficherelli, il quale non avrebbe mai pensato di perdere il suo agognato «riposo, in questa vicenda di attribuzioni incerte, in cui il pittore di San Gimignano ha comunque ricevuto luce dalla fama di Vermeer.
3. Continua. Le prime due puntate sono uscite il 2 e il 18 agosto 2018.
In questa vicenda piena di dubbi il nostro artista ha per certo ricevuto luce dal celeberrimo collega olandese