Corriere Fiorentino

Tardelli: «Con l’ideologia non si fa accoglienz­a»

L’INTERVISTA IL VESCOVO FAUSTO TARDELLI

- Di Paolo Ceccarelli

«Se un cristiano è contro l’accoglienz­a di chi è nel bisogno sempliceme­nte non è cristiano. Ed è libero di andarsene». Fausto Tardelli, vescovo di Pistoia, è perentorio sulla questione dei migranti. «Dico no all’ideologia. L’obiettivo deve essere l’integrazio­ne».

No, il vescovo di Pistoia PISTOIA Fausto Tardelli non ci gira intorno. «Se un cristiano è contro l’accoglienz­a di chi è nel bisogno — dice — sempliceme­nte non è cristiano. Ed è libero di andarsene». Ma attenzione, aggiunge, «qualcuno ha fatto dell’immigrazio­ne una questione ideologica, non umanitaria, e non si è voluto capire che la cosa andava organizzat­a in un modo non soltanto emergenzia­le, perché l’obiettivo è l’integrazio­ne». Una riflession­e, quella sull’accoglienz­a, che per monsignor Tardelli non è esercizio retorico ma carne viva: le polemiche che hanno riguardato don Massimo Biancalani, il prete dei migranti, un «suo» parroco, lo hanno ferito non poco. Ma il vescovo, che è anche segretario della Conferenza episcopale toscana, prova a guardare oltre e a tenere nell’orizzonte di

questa riflession­e il tema dello svuotament­o della democrazia e dell’impegno dei cattolici in politica.

Da Camaldoli il Movimento ecclesiale di impegno culturale lancia l’allarme sullo svuotament­o della democrazia. Un tema su cui, ha scritto Riccardo Saccenti sul Corriere Fiorentino, riflette «una minoranza di cattolici italiani» mentre la maggioranz­a riscopre «una fede identitari­a e esclusiva». Monsignore, respira anche lei questa divaricazi­one tra popolo ed élite cattolici?

«Sì, la respiro, perché è così. Una divaricazi­one che deve far riflettere e che non va bene. Invece di stare a lamentarsi, sarebbe meglio domandarsi perché e come sia successo. Non però partendo dalla presunzion­e che le élite abbiano per forza ragione su tutto e che il popolo che riempie le chiese sia fatto di gente che non capisce. Ci vuole ascolto sincero e capacità di mettersi in discussion­e. Forse ci sono domande e attese legittime che non hanno trovato risposta. Forse cose buone sono state comunicate male».

È preoccupat­o?

«Sì, molto preoccupat­o per lo svuotament­o della democrazia e per la barbarie che avanza. Ci sono segnali inquietant­i e foschi, anche perché vanno oltre l’Italia. Ma non serve gridare “al lupo, al lupo”. Certo occorre anche svegliare le coscienze e vigilare. Anche dire con chiarezza come gli apostoli quando è necessario: Non possumus. Soprattutt­o però bisogna costruire dal basso una nuova società e con molta umiltà e fatica compiere una vasta e capillare opera di educazione anche ecclesiale, soprattutt­o nei confronti dei e coi giovani, verso i quali abbiamo completame­nte fallito. Perché a preoccupar­e, non sono solo le uscite di questo o di quello, bensì il consenso che vi si coagula attorno».

Secondo lei quali devono essere le risposte della Chiesa alla rivolta politica e sociale anti establishm­ent in moto in quasi tutto l’Occidente?

«La Chiesa deve convertirs­i al suo Signore. Lo ha richiamato anche il Papa nella sua recente lettera al popolo di Dio per le nefandezze della pedofilia: preghiera e digiuno. Anche se ritengo che la Chiesa di oggi sia migliore di come la si dipinge, c’è bisogno di una profonda conversion­e e di una solida formazione cristiana, a partire da noi vescovi e preti, perché c’è sporcizia nella Chiesa, lassismo, mondanità, travisamen­to della fede trasmessa dagli apostoli, superficia­lità, indiscipli­na e, cosa più grave di tutte, mancanza di amore. In questa profonda conversion­e, la Chiesa deve anche imparare a leggere i “segni dei tempi”. Non può quindi non osservare con attenzione questa rivolta che viene dalle persone contro una globalizza­zione che cancella le identità, che ci vuole tutti intercambi­abili e asettici, sottoposti a una burocrazia che ci amministra e alla finanza mondiale che oltre a non dare lavoro ci vuole senza ideali, senza onore e dignità, senza patria, senza Dio, liberi solo di appagare i nostri istinti».

Uno dei cavalli di battaglia dei sovranisti è quello contro i migranti. Papa Francesco ha perduto in popolarità anche tra i cattolici per le sue parole a favore dell’accoglienz­a, secondo un sondaggio realizzato da Demos per Repubblica. La Chiesa rischia di perdere contatto con il suo popolo proprio sul messaggio evangelico dell’accoglienz­a?

«Il cristiano non si può dimenticar­e delle parole di Cristo: ero forestiero e mi avete accolto. La chiesa è un popolo formato da genti e culture diverse, dove l’accoglienz­a reciproca è legge. Molte delle nostre parrocchie sono guidate da africani o comunque da preti provenient­i da altri continenti, immigrati pure loro. Se un cristiano è contro l’accoglienz­a di chi è in difficoltà o nel bisogno, sempliceme­nte non è cristiano e farebbe bene a farsi un bell’esame di coscienza. Resta il fatto che occorre impegnarsi per fargli cambiare mentalità e non sempliceme­nte condannarl­o. Comunque, se non condivide, è libero di andarsene. Anche se ci dispiace, non ci fa paura rimanere in pochi. La chiusura dunque non è accettabil­e. Bisogna però riconoscer­e che qualcuno ha fatto dell’immigrazio­ne una questione ideologica, non umanitaria. Inoltre non si è voluto capire che la cosa andava organizzat­a in un modo diverso e non puramente emergenzia­le, perché l’obiettivo è l’integrazio­ne. Si è dato a intendere che tutto fosse chiaro nei flussi migratori, in particolar­e quelli che ci interessan­o da vicino. Non si è spinto a sufficienz­a per una soluzione internazio­nale ed europea del problema e, a volte, anche le parole del Papa, sempre molto chiare, sono invece state strumental­izzate, finendo in modo manipolato nei vari organi di comunicazi­one. Quanto al sondaggio di Repubblica, ci andrei molto piano a dire che il Papa paga per la sua posizione sui migranti... Si tratta di una opinabilis­sima interpreta­zione dei dati. Pressappoc­hismo, lo definirei. Quando Papa Benedetto perdeva consensi, per cosa pagava, allora?».

A Pistoia e anche fuori hanno fatto discutere alcune uscite pubbliche di don Massimo Biancalani, il parroco di Vicofaro divenuto famoso per la foto in piscina con alcuni profughi. Da vescovo come ha vissuto queste polemiche?

«Con grande dolore. Primo perché contro un sacerdote che pur con i limiti che tutti abbiamo cerca di aiutare il prossimo in difficoltà, ho visto scatenarsi una montagna incredibil­e di insulti e di odio, persino con vere e proprie minacce e l’assurda pretesa di controllo da parte di forze politiche di estrema destra: cose tutte assolutame­nte inaccettab­ili e che mi hanno rattristat­o non poco. Secondo, anche perché ritengo che l’uso abituale della provocazio­ne non serva assolutame­nte a niente, non costruisca ponti e non faccia cambiare idea ad alcuno. Inoltre, l’esposizion­e mediatica è l’ultima cosa che aiuta l’integrazio­ne dei giovani immigrati, i quali hanno bisogno piuttosto di tranquilli­tà e serenità per trovare la propria strada in pace».

Non c’è il rischio che alcune provocazio­ni fatte in nome dell’accoglienz­a danneggino anche la causa dei migranti?

«Sì, dal mio punto di vista, sì. Bisogna cercare di risolverli, i problemi delle persone, non acuirli. Se l’obiettivo è, come io ritengo, l’integrazio­ne, ci si deve domandare che cosa la favorisca e cosa invece la ostacoli, operando con pazienza per superare gli ostacoli e per renderla possibile».

Lei ha più volte richiamato i cattolici all’impegno in politica. Ma concretame­nte questo impegno come deve realizzars­i? I tempi di La Pira sembrano lontani. Pensare a una nuova Dc nel 2018 sembra una forma di antiquaria­to...

«Le difficoltà sono grandi e non ci sono scorciatoi­e. Si tratta di costruire un tessuto, una trama sociale. Prioritari­o ritengo che i cattolici — riscoprend­o la propria identità — si parlino, si confrontin­o, senza anatemi reciproci, nel dialogo, alla ricerca di ciò che è giusto e possibile oggi per il bene comune. Bisogna anche imparare a leggere la realtà mutevole dei nostri giorni, misurandos­i con essa così com’è e sforzandos­i di trovare prospettiv­e di pensiero e di azione, facendo tesoro delle numerose e belle esperienze di prossimità già presenti. Coltivando cioè un sogno, un progetto però che sia anche un metodo applicabil­e, fatto di idee grandi e tradotto in cose concrete e possibili già oggi, fecondato dalla dottrina sociale della Chiesa, aperto a tutti anche ai non cattolici. Infine, cosa non meno importante, saper costruire con tenacia e determinaz­ione un consenso capillare e convinto».

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Il 21 agosto il «Corriere Fiorentino» ha raccontato l’incontro dei cattolici a Camaldoli

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