Bizjak e le sue cave che parlano ai sogni
Al Cap di Carrara sette scatti monumentali del fotografo sloveno
Quattro anni per realizzare dieci scatti di cave abbandonate sulle Alpi Apuane. Cave silenziose, paesaggi lunari, lontani dal clamore dell’attività estrattiva e dal business dell’oro bianco.
La personale dell’artista Primož Bizjak sarà visitabile fino al 31 ottobre al Cap-Centro Arti Plastiche di Carrara, che l’ha voluta, in collaborazione con Galerija Gregor Podnar di Berlino. Sette foto, di grande formato, eseguite tra il 2014 e il 2017, con tempi di posa prolungati e l’uso della tecnica fotografica analogica. I pannelli tre metri per due costringono l’occhio a soffermarsi sui particolari e a instaurare con l’immagine un rapporto quasi meditativo. La mostra ha un narratore d’eccezione, Simone Menegoi, che nel testo critico che accompagna le opere scrive: «Bizjak lavora lentamente. Ha cominciato a fotografare le cave nel 2014, ritornandovi a intervalli regolari negli anni seguenti. Quattro anni dopo, il ciclo dedicato alle cave conta dieci scatti, di cui appena sette sono diventati stampe». La tecnica è unica: prima di produrre anche un solo scatto, Bizjak studia il sito, prova e riprova la posizione della camera. Poi, come faceva Michelangelo quando doveva scolpire il marmo, immagina la forma prima nella sua mente e dopo la imprime sul negativo. Ciò che ne scaturisce è uno scenario maestoso, «che rapisce chi guarda», un ritratto monumentale delle Alpi Apuane, ma capace di denunciare la fragilità di un territorio a rischio. Le foto non hanno subito alcuna manipolazione digitale. Il soggetto preferito di Primož Bizjak è il paesaggio in divenire, che si tratti del rifacimento di quartieri della capitale spagnola, o dei canali di Venezia, prosciugati per lavori di manutenzione. «Le immagini delle cave delle Apuane si collocano in una zona grigia —spiega Menegoi — nell’atto della trasformazione fra il lavoro umano e il lavorio della natura».