La libertà della Feniglia e una pineta ritrovata (ballando insieme ai lupi)
Lo stabilimento balneare «La Capannuccia» fa da avamposto al paradiso terrestre della Feniglia, duna stretta e ombrosa dove è bandita qualsiasi forma di locomozione fatta eccezione per la bicicletta o le proprie gambe. Daniele Avvento, il gestore del bagno, chiede con aria incuriosita: «Vai a piedi lungo la battigia? Lo sai, vero, che non c’è neppure un chioschetto dove comprare una bottiglia di minerale?». Ma vuoi mettere l’ebbrezza di annusare la salsedine mista al profumo dei ginepri, su una spiaggia mezza affollata e mezza deserta, dove ci si ripara dal sole sotto a capanne fatte di pezzi di legno e tronchi d’albero spiaggiati per la risacca e dove, d’inverno, corrono i lupi?
Già, i lupi. Nessuno sa come sono finiti in Fenigl i a . For s e dalla Marsiliana, dopo aver attraversato la superstrada e la ferrovia. «Sono animali intelligenti e adattabili — spiega il tenente colonnello Giovanni Quilghini, comandante dei carabinieri forestali di Follonica — Appena arrivati, sono andati a mangiare il pesce rimasto nelle reti dei pescatori. Sappiamo con certezza che nei 480 ettari della Feniglia c’è una coppia riproduttiva stabile e che sono nati dei cuccioli». Durante l’inverno gli avvistamenti sulla spiaggia e nel cortile di un ristorante hanno allarmato la popolazione, al punto che gli abitanti della zona hanno costituito il comitato «Porto Ercole ambiente sicuro», che in pochi giorni ha raccolto 500 adesioni. Ora l’allarme si è affievolito, anche per merito dell’informazione fatta dai carabinieri forestali e da Medwolf, associazione che si pone l’obiettivo di mediare la presenza del lupo con quella dell’uomo nelle campagne della Maremma e nei distretti del Guarda e di Castelo Blanco in Portogallo: «Il lupo, in genere, non attacca l’uomo — aggiunge Valeria Salvatori, responsabile del progetto Medwolf — In Italia non succede da almeno 100 anni. Però bisogna fare attenzione, è un animale predatore».
Anzi, è un super-predatore, un regolatore naturale della biodiversità. Da quando è comparso, in Feniglia si è ridotta la popolazione di daini e di cinghiali, che alterano la flora dunale: il ginepro, il lentisco e la fillirea crescono più rigogliosi di prima. Nei sei chilometri del viale pedonale e ombroso lungo l’istmo che separa la laguna di Orbetello dal mare, di giorno non c’è traccia di lupi, di cinghiali, di daini. Neppure di caprioli, di martore o di serpenti, vipere comprese. Ci sono camminatori a passo svelto, anziani più lenti con il giornale in mano, gruppi con bambini in bicicletta. Chi vuole entrare nel paradiso ricostituito dopo la tragica deforestazione di fine ‘800, deve lasciare l’auto nei parcheggi alle estremità del largo sentiero della pineta e avere gambe ben allenate.
Benché Ansedonia sia a un tiro di schioppo e il porto di Cala Galera poco lontano, sotto agli ombrelloni dello stabilimento balneare «La Capannuccia» non c’è traccia di vip. Maria De Filippi era un’ospite fissa, al pari dell’ex calciatore Bruno Giordano, dell’ex portiere Nando Orsi, dell’attrice Vittoria Belvedere. Hanno preso a disertare non per i lupi della Feniglia, ma per il timore di essere paparazzati, moltiplicato all’ennesima potenza nell’epoca degli smartphone: «Continuano a venire nelle loro ville, ma preferiscono salire su una barca e starsene al largo — commenta Daniele Avvento, che d’inverno aiuta un amico a gestire una pizzeria a Mosca — Si sentono più sicuri». Oppure arrivano con gli yacht e chiedono un pattino per arrivare sulla spiaggia e da lì salire ad Ansedonia. «Come fece Luca Cordero di Montezemolo — ricorda ridendo il gestore — Affrontò il trasbordo in giacca, cravatta e valigetta. Se non l’avessi trattenuto, sarebbe caduto in mare vestito».
L’assenza dei personaggi famosi, che in agosto invadono l’Argentario, è archiviata con disinteresse dalla clientela dello stabilimento balneare e dal popolo della Feniglia. Alla Capannuccia si respira quell’aria di libertà che altrove è compressa da regole, sotto-regole e codicilli vigenti anche se mai scritti. Capita di veder passare venditrici africane con la loro mercanzia infagottata sulla testa o di scambiare qualche parola con Likbir, il venditore marocchino che or-