Colori e natura
mai da dieci anni ha piantato l’ombrellone all’angolo del ristorante e, per abitudine, dice la verità: «Macché Marocco. Tutti i vestiti che vedi provengono da Prato». La sua è una presenza consueta, al pari dei bagnini e del parcheggiatore. Ha le idee chiare: Likbir sta in Italia perché, nonostante la precarietà del suo lavoro, le condizioni di vita restano migliori che a casa sua. «Si è sempre comportato correttamente — dice Daniele Avvento —, non ha mai disturbato nessuno. A me non dà noia. Poi se è in regola con i permessi o meno, poco importa: chi sono io per controllare?». Sarà per l’esplosione della natura in ogni sua forma o per la tipologia dei frequentatori della Feniglia, di solito provenienti dalla capitale e per questo abituati a ben altro, ma ogni attività umana è avvolta in un clima di tolleranza. Per queste, e per mille altre ragioni, nessuno si mostra infastidito dagli ambulanti con la testa avvolta in un turbante che volteggiano i tessuti ai lati di un carretto stracarico, spinto con fatica immane sulla battigia. E neppure dalle pallonate che ogni tanto arrivano inattese. L’unico fastidio è espresso verso chi sporca, tant’è che non c’è traccia di cartacce né di rifiuti sulla spiaggia libera e in pineta.
Dei lupi, poi, si è smesso di parlare con l’arrivo dell’estate. La paura atavica è stata declassata ad ansia stagionale. Però ci sono, come documentano le foto-trappole e le tracce di ogni tipo. A breve riprenderà, di notte, il «wolf howling», gli ululati artificiali che generano risposte e permettono di conteggiare gli esemplari. In attesa del «censimento», ricorda il tenente-colonnello Quilghi-