L’ultimo battito d’ali di Lindsay
Kemp, coreografo, danzatore e attore inglese, è scomparso nella sua casa di Livorno all’età di 80 anni Ha dedicato la seconda parte della sua vita alla Toscana. Ha realizzato spettacoli in tutti i nostri principali teatri
Se ne è andato così, con la leggerezza del battito d’ali di una farfalla, un po’ come ha sempre vissuto e come era la danza che ci ha regalato. Lindsay Kemp, coreografo, ballerino, attore, mimo, regista è venuto a mancare all’età di ottant’anni venerdì sera nella sua casa livornese, città dove aveva scelto di risiedere da diversi anni. Daniela Maccari, prima ballerina della Lindsay Kemp Company e sua assistente da ben dieci anni, c’era. «È stato un regalo, credo che uno non possa desiderare una morte migliore. La giornata era trascorsa come sempre, eravamo stati alle prove, aveva ballato fino a un’ora prima, aveva insegnato, lui riusciva sempre a insegnarti qualcosa di nuovo, avevamo riso, scherzato, eravamo stati tutti insieme a cena in pizzeria. Se ne è andato circondato dalle persone a cui voleva bene, eravamo rientrati in casa, aveva il computer sulle ginocchia, lavorava alla sua autobiografia, di tanto in tanto va detto, ma erano troppe le cose che aveva da raccontare. Si è alzato, “mi sento strano, vado un attimo in camera”, e puff, non c’era più. Non credo se ne sia nemmeno accorto. Per anni mi aveva aperto la porta con uno scherzo, che ne so, indossando una maschera, per poi ridere a crepapelle delle mie reazioni. E il rispetto, la delicatezza, quel suo rimettersi
Daniela Maccari Insegnava a sollevare lo spirito della gente Valentina Gensini Impression ava per la sua gentilezza e umiltà Fenomeno in tutto
sempre in discussione. Amava ripetere che l’artista ha delle responsabilità, sollevare lo spirito dello spettatore, che deve capire che siamo qui per loro». Attualmente stavano lavorando a Kemp dances, spettacolo che ha già circuitato molto in Italia e all’estero, ma che continuerà a farlo. «Anche perché lui apportava sempre delle migliorie. La sua eredità più bella è il senso di libertà nel danzare che mi ha regalato. “Noi che abbiamo la fortuna di essere liberi e di danzare dobbiamo aiutare lo spettatore a liberarsi. Sia psicologicamente che materialmente se c’è qualche dittatura” amava ripetere».
Era arrivato a Livorno grazie a una collaborazione di lunga durata col Teatro Goldoni. Quando questa è stata repentinamente interrotta fu un dolore vero. «Ma ora il rapporto era ripreso — dice la Maccari — con la regia de Il Flauto magico. A Livorno, Pisa Lucca. Un’opera che sembrava scritta per lui». Eppure un’ombra ci doveva essere, se il costumista Massimo Poli, che con Kemp ha molto collaborato, firmando con lui alcuni degli spettacoli più densi di poesia che chi scrive abbia mai visto ( Il Sogno di una notte di mezza estate di Britten, andato in scena al Teatro Verdi di Pisa, al Goldoni di Livorno e al Giglio di Lucca nel 2004, Le maschere di Mascagni per il Goldoni di Livorno nel 2001), ci dice: «Lo ho incontrato questo inverno e l’ho visto invecchiato. L’impressione era che si sentisse messo da parte. Pensare che i suoi spettacoli sono stati sempre grossi successi. Mi ha regalato alcuni costumi meravigliosi, che terrò come una reliquia. Era una persona geniale in tutto quello che faceva, forse troppo, non si riusciva a classificarlo e questo alla fine può averlo danneggiato».
Concorda Valentina Gensini, che lo ha ospitato come artista in residenza a Firenze, al Museo del ‘900 e alle Murate, nel giugno luglio dello scorso anno: «Lavorava coi giovani dell’Istituto europeo del design andava a fare la spesa al mercato (e spesso riceveva in dono bottiglie di vino e pesce fresco), amava camminare sul lungomare di Ardenza e spesso si fermava a mangiare un «cinque e cinque» da Gagarin, il più famoso pizzaiolo di Livorno. Nel suo palazzo, al numero 21 degli Scali Saffi, lo su un progetto ispirato al teatro Kabuki. Mi impressionò con la sua gentilezza e umiltà, unita alla precisione per la coreografia. Un fenomeno in tutto, e il suo rapporto trasversale fra le arti, non essendo inquadrabile, penso lo abbia danneggiato molto». Ricordo che condivide anche il sindaco Dario Nardella «con affetto e riconoscenza» per «le sue performance al museo Novecento, alle Murate e al teatro Puccini».
Ancora in Toscana, alla Villa di Celle a Pistoia, vero tempio dell’arte ambientale, si ricorda ricordano come «un tipo eccentrico ma sempre disponibile»: «Sapevamo che era famoso ma non ce lo ha mai fatto pensare in alcun modo, lavor a va tut to i l giorno » racconta un residente.
La malattia non aveva mai fermato la sua passione per il teatro. Dopo le collaborazioni negli anni Ottanta e Novanta, dal 2004 in avanti era diventato il fiore all’occhiello del Goldoni portando in scena Sogno di un notte di mezza estate per la sua riapertura. Da due anni era anche il responsabile di un corso di danza per i più giovani: « Era un uomo di grande esperienza e molto generoso la sua performance del 2015. Molto precedente è un episodio legato al Maggio Musicale. Margherita Mana, ballerina del fu glorioso corpo di ballo del Maggio, ricorda: «Venne in teatro nell‘88 per la prima stagione di Poliakov come direttore. Aveva commissionato un brano coreografico a Mario Piazza, a lungo suo danzatore. Kemp aveva due obbiettivi, la realizzazione dei costumi (i suoi disegni erano incantevoli, tra il fumetto e il liberty), e il totale impegno per far diventare la sartoria una gabbia di matti. Lo ricordo con una stravagante tuta tipo meccanico, aureola di capelli bianchi in uno sforzo linguistico non indifferente. Credo che poi con l e s a r te trovarono una lingua tra il vernacolo e l’etilico, di non trascurabile efficacia visti i risultati. Alla fine ero lì in mezzo, con la mia “tutina intera azzurra” piena di spilli su un lato e un capannello di donne forbici munite che ridevano affettando tulle per Kemp che dirigeva più leggero dello stesso velo». Conclude: «La leggerezza di un gioco di bambini. La serietà delle regole infrante per scherzo. A questo mi fa pensare il suo lavoro. Credo fosse un bel sollazzo per lui provocare fanciullescamente. In questo senso era figlio del suo tempo, ma senza la durezza del punk, dando alla provocazione una maschera poetica e immaginaria».
Dario Nardella Lo ricordo con riconoscenza e affetto alle Murate e al Puccini Margherita Mana Voleva fare della sartoria del Maggio una gabbia di matti
con gli altri — lo ricorda il Presidente della Fondazione Goldoni, Marco Leone — si voleva sempre mettere in discussione e per Livorno avrebbe fatto qualunque cosa: amava questa città, il suo mare e i suoi ritmi blandi, quasi rilassati». In questi giorni i due si erano sentiti per portare a teatro il prima possibile Le maschere di Mascagni, ma non c’è stato il tempo. Domani al Teatro Goldoni sarà allestita la camera ardente e nei prossimi giorni la giunta comunale deciderà il tipo di riconoscimento da dargli: il sindaco di Livorno Filippo Nogarin ha proposto di affiggere una targa commemorativa sul suo palazzo. «Era un’artista totale innamorato di Livorno — dice il primo cittadino — la città lo ha adottato e lui ha adottato noi lavorando per trasmettere ai livornesi la passione per la bellezza in tutte le sue forme».