Corriere Fiorentino

Guanti che pesano

Lafont e Scuffet, un duello tra talenti Sogni, parate e la pressione da gestire

- Matteo Magrini

Si fa presto a dire «nuovo Buffon». Basta esordire da giovanissi­mi, fare un paio di belle parate e via. Il paragone è fatto. Il problema è il dopo. Quando le attese crescono, e la pressione rischia di farsi insopporta­bile. Chiedete a Simone Scuffet quanto sia dura la vita del ragazzo prodigio. Nato nel 1996, nel febbraio del 2014 (ancora minorenne) era già titolare in Serie A. Fu l’infortunio di Brkic, a consegnarg­li la maglia «numero 1» dell’Udinese. Una storia simile (appunto) a quella di Gigi Buffon che, catapultat­o sul palcosceni­co dei grandi «grazie» all’infortunio di Bucci, non uscì più. Ma di Buffon ce n’è uno.

Stupì tutti, anche Scuffet. Una serie di prestazion­i abbagliant­i che lo scaraventa­rono in prima pagina con titoloni, grida al fenomeno ed etichette tanto esaltanti quanto (soprattutt­o) scomode. Poi, il mercato, e un «no» all’Atletico Madrid arrivato (si narra) per volontà della famiglia.«Prima devi finire la scuola», gli dissero. Una scelta nobile. Mai però, Simone e i suoi avrebbero immaginato che da quel momento sarebbe iniziata la picchiata. Rimesso in panchina da Stramaccio­ni, Scuffet è sparito alla stessa velocità con la quale era apparso. Va in prestito al Como (in Serie B), con il quastrare le retrocede in Lega Pro, torna in bianconero, ma sempre da «12». E oggi? Titolare, ma precario. L’ex «nuovo Buffon» del calcio italiano ha giocato (e bene) le prime due gare di campionato ma alle sue spalle spinge forte il neo arrivato Juan Musso. Argentino, 23 anni, pure lui accompagna­to da relazioni super. Un infortunio lo ha messo ko, ma ora ha recuperato. Per questo, in vista della partita di domani, Scuffet vive nel dubbio. Confermato o no? Probabilme­nte si ma, per difendere il posto, dovrà dimo- a mister Velazquez di essere ancora quel «bambino» che, a 17 anni, fu capace di stupire l’Italia.

Dall’altra parte, tra i pali della Fiorentina, nessun dubbio. Gioca Lafont. Un altro per il quale i paragoni si sprecano. «Il Donnarumma di Francia», come lo hanno definito in patria, per il momento dribbla come fosse un trequartis­ta. «Io sono Lafont», ha detto a Moena nel giorno della sua presentazi­one. Del resto, fino a 14 anni, giocava centravant­i e sognava di essere come Van Persie. Finito in porta per caso, ci ha messo poco ad imporsi. Basta dare un occhio ai numeri. A 19 anni, sulle spalle ha già tre campionati (con oltre 100 presenze) da titolare in Ligue 1. La Fiorentina, in estate, ha scommesso su di lui. Perché Meret (altro baby fenomeno) costava troppo e perché, davanti ad una scelta parecchio complessa, Corvino e Freitas lo hanno preferito a Lunin, ucraino poi finito al Real Madrid. I viola infatti, nel pieno del mercato, avevano puntato (Meret a parte) su questi due. Li hanno seguiti, studiati, ne hanno valutato pregi, difetti e rapporto qualità prezzo. Fino alla decisione: Lafont.

Un investimen­to da 7 milioni più uno di bonus (in caso di qualificaz­ione alla prossima Europa League) con la convinzion­e però, di essersi messi in casa un tesoro. Tecnico, ed economico. Le prime risposte son state incoraggia­nti. Parate, sicurezza, personalit­à. Il francese è stato uno dei migliori (forse il migliore) del pre campionato. Fino all’esordio col Chievo. Una serata tutto sommato tranquilla, nella quale (oltre ad un paio di uscite «ballerine») ha messo in mostra piedi da centrocamp­ista. Una qualità, questa, alla quale Pioli tiene parecchio. Nel frattempo, studia a fondo l’italiano, mentre in Francia spingono forte su Deschamps perché lo convochi al più presto in Nazionale. Domani sfiderà Scuffet e, magari, potrà farsi spiegare quanto sia dura la vita dei «nuovi Buffon».

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