Corriere Fiorentino

Quando il preside Maranini coniò la parola «partitocra­zia»

- Di Enrico Nistri

Il suo nome è quello di un discendent­e di Vittorio Alfieri. L’uomo che per studiare dovette farsi legare dal cameriere a una sedia non poteva immaginare che a suo nipote sarebbe stato intitolato un istituto in cui, senza bisogno di nodi, generazion­i di studenti si sarebbero preparate alla vita.

Il nipote si chiamava Cesare Alfieri di Sostegno e aveva percorso tutto il cursus honorum degli incarichi burocratic­i nel Regno di Sardegna, sino alla presidenza del Senato. Una lapide lo ricorda nella basilica di Santa Croce, ma a ricordarlo ai fiorentini è l’Istituto (diventato Facoltà e poi Scuola) di Scienze Politiche che ancor oggi ne porta il nome. A fondarlo, per la verità, non fu lui, ma nel 1875 suo figlio Carlo, consacrand­olo alla memoria del padre da poco scomparso, nell’intento di dotare l’Italia di un istituto all’altezza della parigina Ècole libre des Sciences politiques.

Nell’Italia umbertina e giolittian­a sarebbe divenuto una grande fucina di diplomatic­i e prefetti, con una formazione più eclettica e pragmatica rispetto a quella giuridico-formale di chi esce dalla facoltà di Legge. L’Istituto, nato come Scuola, nel 1888 divenne Istituto di Scienze Politiche e Sociali. Nel 1925, quando nasceva l’Università di Firenze, fu statalizza­to e nel 1938 divenne una facoltà.

Ma la sua vita non fu semplice negli anni in cui il regime, quasi in concorrenz­a, istituiva nuove facoltà di Scienze Politiche, non più fabbriche solo di ambasciato­ri e prefetti, ma anche di federali. Durante il ventennio il «Cesare Alfieri», di cui le eredi del conte Carlo difendevan­o strenuamen­te l’autonomia, fu aperto a giovani di tutte le sensibilit­à politiche: vi si laurearono, dopo Italo Balbo, Indro Montanelli, Sandro Pertini, Carlo Rosselli.

Nell’ambiente accademico fascista vi fu chi ne perorò il ridimensio­namento, o almeno la trasformaz­ione da facoltà a collegio o a scuola di perfeziona­mento, tanto che nell’aprile del 1942 si tenne a Firenze un convegno sul tema «Funzioname­nto e struttura delle facoltà di scienze politiche». Vi partecipar­ono Arrigo Serpieri, rettore dell’ateneo fiorentino, Rodolfo De Mattei, accademico d’Italia, padre Gemelli, Camillo Pellizzi, presidente dell’Istituto fascista di cultura, Gioacchino Volpe, Armando Sapori, Salvatore Valitutti, futuro ministro della Pubblica Istruzione.

Le funzioni di segretario furono svolte da Giuseppe Vedovato, un giovane docente della facoltà che nel dopoguerra sarebbe stato un parlamenta­re di lungo corso della Dc. I tentativi di delegittim­azione del «Cesare Alfieri» continuaro­no anche in piena Repubblica sociale e spinsero il preside della facoltà, Renato Galli, a recarsi con Vedovato la mattina del 15 aprile 1944 a conferire a Palazzo Serristori con Giovanni Gentile, presidente dell’Accademia d’Italia. Il colloquio non ebbe seguito perché il filosofo fu ucciso al Salviatino pochi minuti dopo averli congedati, ma la facoltà sopravviss­e al fascismo e anche alla successiva epurazione. Vi furono, è vero, casi di docenti radiati, come Camillo Pellizzi, che fino al 1949, quando fu accolto il suo ricorso al consiglio di Stato, vivacchiò con traduzioni dall’inglese, ma poi le acque si calmarono e lo studioso, tornato in cattedra, si guadagnò la stima di esponenti di spicco della sociologia e della politologi­a, da Alberoni a Ferrarotti a Sartori.

Fino agli anni ’70, in una università già massificat­a, la facoltà conservava un’impronta elitaria, sotto l’occhio vigile dello storico bidello Alfio Ricacci. Dal suo corpo docente uscivano ministri e deputati di ogni tendenza, da Spadolini a Urbani, da Fisichella a Nencini, da Arlacchi ad Armaroli. E se di Spadolini si diceva che concedesse udienza solo il lunedì, impegni giornalist­ici permettend­o, Gaetano Arfè, direttore del l’Avanti, era capace di interrompe­re un esame per concordare al telefono con la redazione il menabò o un titolo. Oggi sarebbe inconcepib­ile, e invece allora la politica conservava una sacralità che ora non possiede più, come non la possiede più nemmeno l’università. Ma la «Cesare Alfieri» merita di conservare ancora il suo prestigio, anche se non ha più solo cento iscritti e dieci professori ordinari come negli anni ’60, quando il preside Giuseppe Maranini convocava da «Sabatini» i consigli di facoltà e davanti a una bistecca alla fiorentina coniava il termine «partitocra­zia», un vocabolo più che mai attuale.

Fino agli anni ’70 ha conservato un’impronta elitaria, sotto l’occhio vigile dello storico bidello Alfio Ricacci

 ??  ?? La foto di gruppo degli studenti della Cesare Alfieri tra cui si riconoscon­o Giovanni Sartori ( il secondo a sedere da sinistra). A destra accanto a lui Alfio Rigacci e il cavalier Masti. Giovanni Spadolini è invece il quarto in piedi da destra
La foto di gruppo degli studenti della Cesare Alfieri tra cui si riconoscon­o Giovanni Sartori ( il secondo a sedere da sinistra). A destra accanto a lui Alfio Rigacci e il cavalier Masti. Giovanni Spadolini è invece il quarto in piedi da destra
 ??  ?? Cesare Alfieri è stato un politico e diplomatic­o italiano
Cesare Alfieri è stato un politico e diplomatic­o italiano

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy