RIALZARE SEMPRE LA POSTA REMAKE DI UN FILM GIÀ VISTO
Matteo Salvini grida all’invasione, Luigi Di Maio ribatte con le «pensioni d’oro» (termine orribile: c’è chi ha una pensione alta ma sudata con il sistema contributivo, non è impossibile, e chi invece ce l’ha alta perché calcolata con il sistema retributivo, una distinzione che andrebbe tenuta bene a mente). Di Maio spara sui giornali il reddito di cittadinanza prima possibile (nonostante le cautele del ministro dell’Economia Giovanni Tria), Salvini lancia la flat tax (che non è flat, visto che ha due aliquote, se non tre).
Salvini attacca l’Europa e cerca alleati nei Viktor Orbán sparsi per il continente, Di Maio replica con l’assalto ai «vitalizi». L’incontro tra Salvini e Orbán, peraltro, è tutt’altro che secondario, come osserva il politologo Yascha Mounk: «Orbán è il populista europeo più furbo e di grande successo. Ha trasformato una democrazia liberale in una democrazia elettorale, nella quale ci sono elezioni ogni quattro anni ma in realtà il governo ha tanto potere che le elezioni sono finte… C’è la possibilità però che un populista possa insegnare all’altro come smantellare le istituzioni democratiche». Sicuramente, «Salvini può imparare dal suo maestro, il signor Orbán».
La strategia dei due contendenti-alleati di governo è chiara. Si creano continue tensioni, ci si sfida a vicenda sparandola sempre più grossa, rilanciando in continuazione. A partire dallo stesso Salvini, che oltre a duellare con il M5s sulla «casta» ha identificato numerosi nemici più o meno esterni. Osserva Augusto Minzolini su Panorama di questa settimana: «Matteo Salvini è tipo a cui piace il rischio. Gioca, sempre e comunque, al rialzo: con Silvio Berlusconi, con l’Europa e, ora, anche con la magistratura che gli contesta il reato di sequestro di persona per gli immigrati che sono stati confinati per giorni e giorni sulla motovedetta Diciotti».
Ma questa strategia non ricorda nessuno? Come no. Berlusconi ha teorizzato e praticato la tecnica del rilancio continuo con annunci, suo degno erede è stato negli anni di governo Matteo Renzi, che sistematicamente cambiava bersaglio e obiettivo. Una tecnica usata fin dai tempi di Firenze, quando in campagna elettorale pubblicizzava i Cento punti e poi i Cento luoghi, di cento in cento finché nessuno si accorgeva di cosa era stato fatto e, sopratutto, di cosa non era stato fatto.
Sindacati, Confindustrie, sezioni locali del Pd da «passare» con il lanciafiamme, avversari interni. Ma il più grande rilancio, il più pericoloso di tutti, l’ex sindaco di Firenze l’ha fatto con se stesso. Quotidiano, costante, auto-logorante. Perché sarà pur vero che nessuno gli ha dato un minuto di tregua da quando ha conquistato per la prima volta la guida del Pd e poi è arrivato a Palazzo Chigi, ma è altrettanto vero che il primo nemico di Renzi è stato Renzi stesso. Persino adesso l’ex presidente del Consiglio cerca di rilanciare, convinto che a breve toccherà di nuovo al Pd ma soprattutto a lui e al suo gruppo dirigente. «Presto toccherà di nuovo a noi», ha detto qualche giorno fa in diretta Facebook. «A settembre, ottobre vedrete che ci sarà da divertirsi».
Il governo Salvini-Di Maio con Giuseppe «Chi l’ha visto» Conte versione vaso di coccio - potrà anche sbandare, in preda alle conseguenze del rilancio continuo; d’altronde un governo non può stare a parlare di migranti per due anni, di porti da chiudere e navi da bloccare, a un certo punto dovrà pur fare qualcosa sull’economia. Ma chi ha detto che il beneficiario di questo sbandamento debba per forza essere il Pd? Magari la fine dell’esecutivo coincide con un nuovo duello — questo tutto elettorale e non tra alleati di governo — fra la Lega che nel frattempo si è mangiata definitivamente Forza Italia e il M5s che ha trovato il modo di sostituire Di Maio per puntare su un altro cavallo. Il Pd è lontano dalla risoluzione della sua crisi, che è complessa, riguarda la leadership e la sua identità. Che cos’è oggi il Pd? Nessuno sembra volerselo chiedere, perché le domande che insistono sul senso delle cose e della propria esistenza spaventano chiunque, figuriamoci se non atterriscono anche dirigenti di partito che dal 4 marzo a oggi non hanno prodotto granché. Basta farsi un viaggio fra le poche superstiti feste del Pd per cogliere lo spaesamento dell’elettorato di centrosinistra, costretto ad assistere al rilancio-scontro interno al nuovo, possibile bipolarismo italiano fra i sovranisti di Salvini e i populisti del M5s.
Salvini attacca l’Europa e Di Maio ribatte sulle pensioni Tecniche già collaudate da Renzi (che ci riprova) e Berlusconi