LA FEDE SEPARATA DALLA POLITICA
Il 7 gennaio 1487 Roma avrebbe dovuto ospitare un «concilio» unico e singolare, che doveva radunare i dotti e i sapienti del mondo per rispondere ad una serie di quesiti sulla natura delle diverse religioni. Pico della Mirandola, promotore di questo concilio che aspirava a sancire la concordia fra le diverse fedi e filosofie e che non si tenne mai, nella sua Orazione sulla dignità dell’uomo disegnava un’interpretazione della natura umana nella quale la dimensione del religioso è tutt’uno col sapere ed ha un posto centrale fra quelle forze spirituali che muovono e plasmano le vicende umane. Sei secoli dopo l’attualità di quella intuizione torna a farsi evidente nella quotidianità di un mondo che scopre come i processi di secolarizzazione non significano la riduzione o la fine dell’esperienza religiosa. Al contrario, essi aprono spazi nuovi al modo in cui donne e uomini di fede danno forma alle proprie convinzioni e credenze. Questo ritorno del religioso, che per alcuni antropologi e storici rappresenta una delle grandi cifre del nostro tempo, suscita timori e diffidenze, perché pone le strutture politiche e culturali e le dinamiche sociali di fronte ad un pluralismo che incide, profondamente, sul vissuto delle singole comunità. Il seminario What is the problem with religion?, organizzato dell’Ispi nell’ambito del suo progetto sul Mediterraneo e che si tiene da oggi a Palazzo Medici Riccardi, si interroga su questo difficile rapporto, invitando attorno ad uno stesso tavolo i rappresentanti delle chiese e delle comunità religiose di Firenze.
Riflettere sul ruolo pubblico delle esperienze religiose ha oggi una funzione cruciale per il futuro dell’Europa e del Mediterraneo. Da un lato occorre superare facili riduzionismi che circoscrivono la religione alla sfera individuale o che considerano i «problemi» di origine religiosa come sovrastrutture che nascondono più profonde dinamiche economiche e politiche. Se è vero che le fedi sono spesso strumentalizzate e abusate, è tuttavia essenziale riconoscere le religioni stesse come sorgenti di idee e visioni del mondo che plasmano le menti e i linguaggi e dunque anche la realtà. Torna dunque d’attualità la lezione di Pico e la sua richiesta di dare spazio, dentro le diverse comunità di credenti, ai sapienti e ai dotti, piuttosto che alle autorità politiche, per dare corpo ad un dialogo capace di riconoscere nel religioso un tratto qualificante dell’uomo, della sua tensione spirituale e dunque della sua dignità.
È significativo che di questo si discuta a Firenze, che è sede di una pluralità di comunità ecclesiali e religiose. E ancor più significativo è che questo incontro cada nei giorni dell’anniversario delle leggi razziali del 1938. Quella pagina di storia, per lo più rimossa da una coscienza collettiva che ancora oggi sposa la rappresentazione di un Paese di «brava gente», segna una sovrapposizione fra fede, identità etnica e appartenenza politica tanto falsa quanto pericolosa che oggi riemerge in forme diverse dentro le opinioni pubbliche di molti Paesi. Al modo superficiale con cui guardiamo all’Islam, all’indifferenza verso un antisemitismo che ritorna in Europa, al consenso raccolto da quanti chiedono una difesa dell’identità cristiana europea si risponde solo con una comprensione diffusa del ruolo pubblico delle religioni. È questo un passaggio essenziale per preservare le fedi dai loro stessi demoni e al tempo stesso per sottrarle alla politica e alla tentazione di fare dei tanti «credo» degli strumenti di consenso in una società dalle identità fragili e fluide.