Il professore razzista cacciato dai fascisti
Il cavaliere dell’Ordine coloniale ella Stella d’Italia per meriti scientifici, volontario nella guerra in Africa orientale del 1936, l’autore di «Un assurdo etnico: l’Impero etiopico» e docente all’Istituto di Antropologia di Firenze, fu uno dei dieci scienziati italiani che firmarono il «Manifesto della razza» pubblicato il 14 luglio 1938 su Il Giornale d’Italia su spinta di Mussolini. Lidio Cipriani, nato a Bagno a Ripoli e morto nella sua Firenze nel 1962, è passato alla storia tra i sottoscrittori del documento della vergogna che aprì la strada alle legge razziali e alla deportazione allo sterminio degli ebrei italiani. Uno scienziato razzista, di regime, uno dei tanti, che non ebbe un ruolo di primo piano nella redazione del Manifesto — anzi sostenne poi di essersi trovato tra i firmatari a sua insaputa — ma che visse una stagione da protagonista, interrotta in modo inatteso nel 1940. Lidio, classe 1892 e figlio di un maestro, dicono le cronache, era un bambino curioso, attratto dal mondo degli animali e dalla natura e seguendo la sua inclinazione si laureò a pieni voti in scienze naturali nel gennaio 1923 all’Università di Firenze. Appena un mese dopo venne nominato assistente volontario presso il Museo nazionale di antropologia ed etnologia di Firenze e nel 1926 ottenne la libera docenza in antropologia, iniziando poi una lunga serie di viaggi in cui fotografò uomini e donne delle popolazioni africane e misurò loro i crani, ne prese i calchi facciali. Cipriani, che scriveva sulla inferiorità dei negri prima di tutto mentale e sosteneva la necessità della colonizzazione — «Generalmente il Negro impressiona per il suo contegno da fanciullone incorreggibile, per la sua disposizione ad una allegria infantile e ai passatempi ingenui a cui nessun Bianco normale si darebbe. Sfugge quanto più può dall’applicare, alla maniera nostra, le sue facoltà mentali ed il suo agire è assai poco per ragionamento e molto per imitazione, specialmente quando trasportato a vivere nel seno della civiltà», scriveva nel 1932 — era ormai un punto di riferimento tra gli antropologi e tra il 1937 ed il 1938 compì due missioni scientifiche nell’ormai conquistata e «imperiale» Africa Orientale Italiana, prima di firmare il Manifesto della razza, come «docente di antropologia, Università di Firenze». Nel 1940 pubblicò «Fascismo razziale» ma le sue fortune erano al termine: quello stesso anno venne allontanato dal Museo di antropologia di cui era direttore con l’accusa ufficiale di vendere per proprio vantaggio maschere e altri oggetti raccolti nel corso delle missioni statali e venne radiato «per indegnità» anche da tutte le società scientifiche e culturali di cui era membro. Cipriani allora tornò ad arruolarsi e nel 1945 venne arrestato e incarcerato con l’accusa di essere stato uno dei firmatari del Manifesto della razza: fu liberato 7 mesi dopo. Nel 1949 il governo indiano lo incaricò di una missione nelle isole Andamane e negli anni successivi tenne conferenze in giro per il mondo, vivendo a Firenze fino alla sua morte. E l’uomo che nel 1938 scriveva su «Difesa della Razza» «niente meglio del razzismo, giustifica i possessi coloniali in Africa» sulla sua lapide fece scrivere «Viaggiatore - Naturalista».
Antropologo, fu l’unico docente toscano a firmare il Manifesto della razza L’Università poi lo cacciò perché vendeva i reperti trovati nelle sue missioni
Nel 1938 scriveva: «Niente meglio del razzismo giustifica i possessi coloniali» Ma quando morì nella sua Firenze, sulla lapide volle scritto soltanto Viaggiatore Naturalista