LA SCUOLA NON BASTA
L’Alto Adige il 5 settembre, la Puglia il 20: in questo arco di tempo tutti i ragazzi italiani faranno ritorno a scuola. Per qualcuno sarà una routine, per altri un obbligo faticoso, per altri ancora l’eccitante inizio (o il piacevole proseguimento) di un percorso destinato ad avere un ruolo cruciale nella loro esistenza. È proprio questa una delle più importanti funzioni dell’istruzione: quella di contribuire a costruire nei ragazzi il loro domani; anche se, come ci dicono tutte le statistiche, il prestigio della scuola continua a calare e cala altresì la sua capacità di incidere sul futuro dei giovani. Tutto ciò, sia chiaro, non accade per sua esclusiva responsabilità. Chi insegna alle elementari sa benissimo che il destino di molti bambini è già al loro arrivo compromesso e che poco a volte si può fare a quel punto per cambiare la loro sorte. Spesso sono figli di genitori troppo impegnati ad affrontare le difficoltà della vita o incapaci di trasmettere ai figli altri valori se non i più deleteri della nostra società. E tra questi, contrariamente a quanto accadeva in passato pur nelle famiglie più povere anche sul piano culturale, non vi è spesso quello legato all’importanza dell’istruzione. D’altra parte è da anni che la «cultura» scolastica dominante è riuscita a togliere quasi del tutto alla scuola la funzione di permettere ai capaci e meritevoli quella ascesa sociale che è ormai affidata quasi esclusivamente a qualche scheda del Superenalotto o alle coraggiose fughe all’estero di molti giovani talentuosi. Da altrettanto tempo la scuola non è più il luogo in cui si impara a rispettare le regole, cioè a sapersi muovere nel mondo e a distinguersi positivamente rispetto alla società «incivile». Chi lo ha preteso è stato immediatamente criminalizzato (stalinismo «soft» dei tempi moderni) ed è diventato, per certi populisti ante litteram, uno «sceriffo». Anche per questo è progressivamente scomparso il senso di appartenenza a un solido consorzio civile. Qualche piccola ma significativa conferma: è ormai del tutto normale che i ciclisti, tra cui molti anziani, sfreccino sui marciapiedi stretti delle nostre città perfino davanti a vigili generosamente consenzienti. Così come è normale vedere i giardini, le strade, le chiese, i mezzi pubblici devastati da persone che neanche si pongono il problema di dover rendere conto a qualcuno delle loro «trasgressioni», anche perché spesso neanche i responsabili dell’ordine e del decoro pubblico si preoccupano d’intervenire.
Ma, ancora a titolo di esempio, da tempo non è augurabile a nessuno dover condividere un ristorante con famiglie che abbiano dei bambini al seguito o dover vivere il vero e proprio martirio di abitare in una strada segnata dalla movida.
Insomma, la scuola non è altro che uno degli elementi (anche se il più importante) della nostra società e segue naturalmente il destino di tutti gli altri. Da sola non potrà risollevarsi se non si mirerà innanzitutto a sconfiggere nell’intera società chi ha pensato che si dovesse addirittura proibire di proibire, ignaro naturalmente, tra le tantissime altre cose, di quello che, a tale proposito, anche lo stesso Leopardi pensava. E cioè che «lo stato sì reo, come il selvaggio, / estimar natural non è da saggio».