Il soffio della Lega sulle paure delle città e il Pd senza bussole
Le sconfitte del centrosinistra negli ultimi anni nelle principali città della Toscana non testimoniano solo la fine di un modello politico, che pareva sopravvivere alla crisi tradizionale dei partiti e alla fine della subcultura rossa, peraltro esaurita da almeno una decina d’anni, come avverte il politologo Mario Caciagli. Sarebbe comodo dire, come qualcuno fa, che la «colpa è di Renzi», diventato il capro espiatorio per qualunque cosa capiti alla sinistra in Italia. Naturalmente le responsabilità per aver buttato via un patrimonio politico e sociale sono enormi, ma di fatto Renzi aveva ereditato un guscio già svuotato: il Pd.
No, le sconfitte di Livorno (2014), Arezzo (2015), Grosseto (2016), Pistoia (2017), Siena, Massa, Pisa (2018) testimoniano — pur nelle loro specificità — una frattura profonda, una crisi di fiducia che prescinde dalle responsabilità dei singoli, un rapporto compromesso fra una certa comunità politica e la sua storica constituency. Girando per la Toscana, si coglie un senso di tradimento nell’elettorato di centrosinistra, che in parte si è persino fatto sedurre da Matteo Salvini. Il caso Pisa lo dimostra: nel 2013 la Lega aveva preso 125 voti, nel 2018 quei consensi sono diventati 9.767. Poi la sinistra pisana può dire tutto quel che vuole, anche dare la colpa all’astensionismo. Ma se fra i colpevoli del risultato di giugno c’è la scarsa affluenza (è vero, a Pisa ha votato solo il 58,4%) viene da chiedersi perché persone di sinistra abbiano preferito stare a casa, non ritenendo nessuna alternativa valida a Salvini e accontentandosi dunque di quel che sarebbe arrivato. Il leader della Lega ha puntato tutto su immigrazione e sicurezza, lo ha fatto a Pisa lo farà nelle altre città al voto l’anno prossimo. Firenze, Prato, Livorno. Il centrosinistra non pare avere più la bussola, come dimostrano le sconfitte elencate in precedenza. Salvini è un abile giocatore di poker con le paure, vecchie e nuove, della cittadinanza, ma — ancora una volta — l’alternativa forte qual è? Non stiamo parlando di massimi sistemi, ma di gestione dell’ordinario.
Il Pd toscano, a meno di un anno da un voto amministrativo importante, ha una visione complessiva di città? E per visione s’intende tenere insieme le esigenze dei centri storici con quelle delle zone che adesso sono diventate periferie ma che un tempo erano — e in certi casi tutt’ora sono, basti pensare al Cep di Pisa — quartieri da un’identità marcata, con numerosi problemi di cui spesso la classe dirigente fatica a intravedere. Naturalmente, non tutte le città funzionano allo stesso modo. Se a Pisa c’è stato e c’è un disagio sociale nei quartieri popolari, altrove i problemi sono diversi.
Prendiamo Firenze. La città ha le sue ambizioni, finanche internazionali, tutte legittime, destinate a crescere. L’augurio è che vengano realizzate, ma dietro le legittime ambizioni viene il dubbio che manchi una visione complessiva. Soprattutto non ci si fa qualche domanda sulle vistose contraddizioni che emergono in città. Firenze non ha le dimensioni di Roma ma in certe parti si sta romanizzando, gli uffici di Palazzo Vecchio devono essere finiti in mano agli sceneggiatori di Lost. Vuole tenere tutto insieme, certe volte anche contemporaneamente: i grandi eventi musicali, Pitti, le produzioni cinematografiche di Netflix, le maratone. Si dice che Firenze non deve essere la città dello sballo, si fa molto uso e spesso abuso della parola «bellezza» ma le incoerenze abbondano. Il centro viene apparecchiato — da piazza del Carmine a piazza dei Ciompi — nel tentativo di renderlo decoroso, ma spesso si fa confusione tra decoro e sterilizzazione. L’amministrazione in passato si è opposta alla realizzazione di un McDonald’s in piazza Duomo ma lascia libero sfogo al mangificio di via dei Neri, salvo poi intervenire con un’ordinanza anti bivacchi dopo l’aggressione di un’allegra famigliola spagnola a un commerciante (e comunque il McDonald’s sarebbe stato nel complesso più dignitoso).
Fuori dal centro storico, il Lungarno Cristoforo Colombo durante l’estate è un pub a cielo aperto, e ogni anno si aggiunge un pezzo, in totale spregio del fatto che i parcheggi non bastano e poi la gente — convinta di essere nel proprio garage — mette l’auto in mezzo al viale, persino in doppia fila. Quest’anno il campo da calcetto sul lungarno è diventato un «locale», spesso vuoto. L’elenco potrebbe proseguire e ciascuno potrebbe aggiungere un pezzo alla lista. Sicché, alla fine, «anche Firenze è contendibile», dice Caciagli, «Nardella, nonostante la buona volontà, è visto come uno di Renzi, che è impopolare e ha sfasciato ogni cosa. Voleva rottamare? Beh, ci è riuscito. Ha rottamato tutto, però le macerie cominciavano a esserci già con il Pd, che non è mai nato o è nato male». L’alternativa in Toscana non è il M5s, ma il centrodestra. A Firenze, a Prato ma anche a Livorno dove l’anno prossimo si vota dopo 5 anni di grillismo. Ma gli elettori — anziché tornare nella casa del padre, cioè il Pd, come qualche Dem spera — potrebbero dar vita al duello fra centrodestra leghista e M5S.
Cronaca, cronaca politica. Dai palazzi romani, ma anche dalle piazze (e da qualche retrobottega) di tutta Italia. Per capire che cosa ci è successo nell’ultima settimana. E cosa c’è da aspettarsi da quella successiva
Firenze non ha le dimensioni di Roma ma in certe parti si sta romanizzan do, vuole tenere tutto insieme, certe volte anche contempora neamente: i grandi eventi musicali, Pitti, le riprese di Netflix, le maratone