Corriere Fiorentino

L’ARTE DELLA LANA, LE PURGHE DEL BARITONO E UNA TESTA DI CAPRONE

- di Vanni Santoni

Chi entra per la prima volta in via dei Lavatoi, può restare perplesso dal contrasto tra il nome e l’assetto, così stretto e «cieco» da non suggerire nulla di assimilabi­le a un lavatoio, ancorché precedente. Ma a Firenze, si sa, il «precedente» può essere anche molto precedente, e svariati possono essere i passaggi che hanno condotto un luogo alla forma di oggi.

Per capire via dei Lavatoi, che oggi funge per lo più da retro del Teatro Verdi e da sfogo per flussi turistici fattisi più intensi anche da queste parti, è necessario aver nozione dell’Isola delle Stinche, tetro edificio carcerario che gettò la sua ombra minacciosa sul centro dal Duecento fino a quasi due secoli fa, un cubo di pietra del tutto privo di aperture, circondato dall’acqua dei fossati che lambivano le mura cittadine. Proprio per la presenza di quel flusso d’acqua, l’Arte della Lana fece costruire sopra un fianco del carcere, dei grandi lavatoi. Essi venivano usati dai tintori fiorentini per il lavaggio delle stoffe, soprattutt­o nei mesi invernali quando l’Arno era torbido o in piena, ma, a testimonia­nza di una sensibilit­à cittadina per gli spazi pubblici poi perduta, erano anche a libero accesso, e in particolar­e quello più grande, lungo 9 metri per 6 vasche, e ben visibile nella Carta del Buonsignor­i, era usato dalle donne della zona per il bucato — e d’estate c’era pure chi ci si faceva il bagno. La via divenne così via dei Lavatoi delle Stinche e, in seguito, solo via dei Lavatoi. Quattro secoli dopo, l’ex baritono Girolamo Pagliano, arricchito­si con gli sciroppi purgativi (alla torazina!) da lui ideati, ridusse i lavatoi a scuderia per i propri cavalli, mentre sulle antiche Stinche costruiva una cavalleriz­za; il tutto divenne poi il teatro Pagliano, oggi Verdi, ed eccoci alla conformazi­one odierna. Dove una traccia dei lavatoi sopravvive: quella fontanella all’angolo con la via che prende il nome dall’antico carcere, segnacolo cittadino che da sempre intriga gli appassiona­ti d’occultismo per l’aver come bocca d’acqua una testa di capro — e non, come chiedeva la committenz­a, d’agnellino: fan fede le corna — viene proprio da lì, costruita per risolvere il problema dello sbocco d’acqua.

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