Palio, una festa. Anche da prigionieri
Siena decide sulla corsa straordinaria. Le memorie della guerra, cento anni fa
Stasera, più o meno alla stessa ora, si svolgeranno le assemblee delle Contrade per decidere in merito alla proposta di effettuare un Palio straordinario a cent’anni dalla conclusione della Grande Guerra. Non proprio alla stessa ora, magari, perché ogni Contrada cercherà di tener segreto l’esito del voto per non influenzare quello di altre interesatte a conoscerlo.
Da quando l’idea è stata presentata al Comune dalla sezione senese della federazione che raggruppa le 35 associazioni d’arma italiane le discussioni si sono incentrate su elementi di pretattica paliesca, sulla convenienza o meno di favorire una carriera fuori data. Era inevitabile. Chi non vince da più tempo ha interesse a tentare la fortuna un’insperata volta in più. Chi ha trionfato da poco è contrario. Altri esibiscono indifferenza. La strana giornata elettorale è all’insegna dell’incertezza. Non è detto che si raggiungano i dieci sì necessari. Senza entrare in dettagli regolamentari vien fatto di chiedersi perché un’idea di non semplice attuazione sia stata formulata solo dopo i due Palii canonici del 2018.
Non è simpatico constatare che il confronto sia dominato da calcoli che non hanno niente (o poco) a che fare con un autentico moto dello spirito pubblico. È capitato in altri frangenti, non c’è da scandalizzarsi. Il responso andrà rispettato e, se positivo, tutti dovranno lealmente cooperare per il buon esito. Sarà, tuttavia, lecito porre qualche interrogativo, se non altro per capire la genesi così tardiva di un’assai controversa proposta. Si poteva benissimo chiedere di inserire un riferimento al centenario in una delle due date consuete, 2 luglio o 16 agosto. Un anniversario non cade a sorpresa e, a rigore, non è rubricabile sotto «circostanze o avvenimenti di carattere assolutamente eccezionale» secondo ciò che prescrive l’art. 2 del regolamento per l’indizione di corse straordinarie.
Ma soprattutto la proposta non è stata avanzata «tempestivamente» come d’obbligo. Ormai è prassi che tali decisioni vengano assunte dalla Giunta comunale all’inizio dell’anno. La macchina organizzativa è diventata talmente complessa da sconsigliare improvvisazioni estemporanee. Non a caso il governo della città ha la facoltà di inoltrare o meno, in accordo con il Magi- strato delle Contrade, alla consultazione le richieste solo se non le ritenga «manifestamente infondate». Formula assai vaga e concessiva: se si voleva bloccare la procedura decisionale occorreva semmai far leva sull’evidente mancanza di tempestività. Il bello è che il sindaco De Mossi ha rilasciato una dichiarazione schietta, ma ambivalente facendo osservare che non sussistevano i tempi tecnici, ma che comunque era corretto passare la palla ai «popoli» delle Contrade. Una dichiarazione che ha esplicitato in modo esemplare la subordinazione all’invalso costume di tutto affidare al dilagante populismo. A proposito di questo termine inflazionato e chiosato a dismisura chi ama decriptare in profondità i significati del lessico dovrà annotare che il termine «popolo» serba a Siena una risonanza speciale. Si dice correntemente i «popoli» delle Contrade, memori di un’accezione antica, quando «popolo» designava un partito, un raggruppamento compatto e solidale.
E da questo punto di vista è doveroso rammentare che le Contrade hanno già promosso molte iniziative in onore dei loro caduti nella Grande Guerra. Sono uscite ben 15 pubblicazioni, tre in corso di stampa, alcune fastose. Sono stati restaurati monumenti. Si è organizzata una mostra, Fotografi in trincea, al Santa Maria della Scala che si avvaleva di centinaia di scatti di chi era partito per il fronte. E si sono programmati convegni di ottimo livello. Insomma si è lavorato sodo, con passione, per ritro- vare e tramandare tracce epistolare e crude immagini di un periodo davvero lacerante per l’Europa. Perché l’attivo Comitato insediato ad hoc e presieduto dal prefetto non suggerì di legare uno dei due Palii al tragico conflitto che ormai in molti considerano la manifestazione su scala europea di una terribile guerra civile? Si preferì giustamente sollecitare lo studio e la raccolta di memorie e reliquie anziché rischiare un esito infarcito di retorica.
È commovente sfogliare quanto è stato scritto o testimoniato di quei mesi. I caduti di Siena furono 539. La cifra comprensiva della provincia sale a 5.415. Spicca un episodio che merita citazione: il tenentino Cesare Goretti visse il secondo tempo della sua guerra tra gli stenti del campo di concentramento di Celle, presso Hannover, dove erano internati 13 senesi. Talmente acuta fu in loro la nostalgia per il Palio e così irrefrenabile il desiderio di un cibo decente che in occasione dall’Assunta 1918 la compagnia finse un abbondante banchetto, stilando un «menu» favoloso con tanto di fischietti al sugo e carne di vitello e immaginando di sedersi a convivio in una via del- la loro città lontana. Quella lista è conservata e fa effetto. Nell’informazione redatta per il Ministero dell’Interno il prefetto Vitelli nel 1917 sottolineò che «le popolazioni della provincia di Siena si dimostrarono fin dall’inizio poco favorevoli alla guerra». Perfino il conte Guido Chigi Saracini prestò da volontario un generoso e scettico servizio, usando la sua automobile come ambulanza.
«Tutti i fautori della guerra — si legge nel suo diario — si rassomigliano: o a casa zitti e chiotti, o più al sicuro possibile [...] non fui mai guerrafondaio, come non gridai contro la guerra; fui solo obbediente al governo in qualsiasi cosa avesse deciso». Amari i versi di un Tignola, estroso poeta del quale non si è riusciti a risalire al nome d’anagrafe: «E quanto si starà a dimenticare / nei dì della vittoria / i morti, che si son fatti ammazzare / per scrivere la storia?».
Se lo strano «Palio col cappotto», come qualcuno l’ha già battezzato, sarà indetto, dovrà essere concepito come un atto collettivo di pietà verso quanti persero la vita nell’immane conflitto. Smentendo Tignola. L’Europa è oggi percorsa da ostili nazionalismi, quasi che la guerra vi continuasse, in altre forme di ostilità e con altri mezzi. Non è il caso di immaginare una celebrazione in sintonia, nemmeno di sfuggita, con velenose e irrazionali rivalse di boriosa, anacronistica e autosufficiente, sovranità.
Senesi in prima linea Il conte Chigi Saracini prestò servizio da volontario: usò la sua auto come ambulanza