TUTTI I COLORI DI FIRENZE
Le perplessità dei residenti dinanzi alla prospettiva di una ripavimentazione di piazza dell’Indipendenza con sabbia lavata di colore rossiccio sollevano un ricorrente interrogativo: qual è il vero colore di Firenze?
All’apparenza, la risposta è scontata: il grigio. Come ogni città con radici nel passato, anche la nostra si è nutrita del territorio circostante, si è coperta delle sue pietre, vestita dei suoi colori. È stata l’arenaria delle cave di Boboli, di Monteripaldi, di Maiano la materia prima con cui sono state lastricate le strade e costruiti palazzi, ponti, chiese. I colori fondanti della città sono il ceruleo tendente al grigio azzurrino della pietra serena, il marroncino della pietra bigia, il «colore alquanto gialliccio, con alcune vene di bianco sottilissime, che le danno grandissima grazia», caratteristico (Vasari dixit) della pietra forte.
Ma siamo sicuri che il cromatismo di Firenze si risolva in un’alternanza fra l’austero bugnato delle facciate rinascimentali e le morbide nuances della pietra serena? La questione si ripropone periodicamente. L’ultima occasione è coincisa con la proposta, avanzata nel 2012 dall’allora sindaco Renzi, di ripavimentare in cotto piazza della Signoria, restituendole i colori anteriori all’età lorenese. La proposta non ebbe seguito, come non l’avevano avuto analoghe ipotesi avanzate sul cadere degli anni ’80, ma sollevò un dibattito in cui Antonio Natali, intervistato da Repubblica, rilasciò una dichiarazione emblematica: «Firenze ha paura dei colori. Tende al chiaro, per scelta. È da anni che insisto su una rivoluzione cromatica della città». Una rivoluzione, o meglio una lenta evoluzione, che in realtà nel corso dei secoli c’era già stata.
Nel 2008, quattro anni prima della sortita di Renzi, era uscito lo studio intitolato «Firenze in colore», condotto dal Dires della facoltà di Architettura. Emergeva un dato: nel corso dei secoli il centro aveva conosciuto profondi mutamenti cromatici. Gli interni dei palazzi rinascimentali svelavano affreschi e colori più caldi, spesso le decorazioni erano anche fuori. Un caso tipico: la facciata del palazzo degli Antellesi in Santa Croce. E se in età lorenese erano prevalsi intonaci verdi/azzurri, in seguito sarebbero prevalse tinte sul giallo che imitavano la pietra forte. Anche Lungarni e dintorni smentiscono il luogo comune di una città monocromatica, con le facciate colorate in piazza Mentana e in tanti edifici sul fiume o il rosso di palazzo Serristori, via dei Renai, che pare aver ispirato il rosso pompeiano di un condominio anni ‘40 di via Masaccio. Un discorso a parte, naturalmente, merita l’architettura Liberty, pur rara in città, anche per gli scempi della speculazione edilizia. Le creazioni di Michelacci e le mattonelle della manifattura Chini aggiungono colore a quartieri neomedievali, con il villino Galeotti Flori di via XX Settembre, o neo rinascimentali, col villino Ciuti di via dei della Robbia.
Certo, si tratta di presenze marginali, in una città in cui tranne rare eccezioni la stessa edilizia littoria ha contenuto l’utilizzazione del marmo a edifici periferici, come la Manifattura Tabacchi, la Scuola di Guerra Aerea o il cinema Vittoria. Ma non per questo si può parlare di Firenze come di una città monocroma: in centro come in periferia i suoi colori non si limitano a cinquanta sfumature di grigio.