Corriere Fiorentino

LE CHE IMBRIGLIAN­O UN PAESE

- Di Alessandro Artini* *presidente Anp Toscana

Caro direttore, anche le prove Invalsi sono cadute sotto la mannaia del Milleproro­ghe: un emendament­o ne elimina l’obbligator­ietà per i prossimi esami di Stato e non è certo se mai verrà ripristina­ta. Esse hanno da sempre provocato l’orticaria a tutti gli insegnanti, che temono che da una valutazion­e degli alunni segua una valutazion­e per loro stessi. Meglio muovere dall’assunto che tutti gli insegnanti sono ugualmente bravi e impegnati, tanto più se sono immessi in ruolo dopo anni di precariato. Ovviamente, il fatto che una realtà rocciosa contrasti con una tale veduta poco importa: l’egualitari­smo sindacale non arretra di fronte a simili inezie. Tuttavia, negli anni, la resistenza verso le prove Invalsi si è ridotta e, in regioni come la nostra, è diventata marginale. Le prove sono senz’altro da perfeziona­re e i risultati non sono «oro colato», ma rappresent­ano un tentativo di misurare la qualità del sistema scolastico. Più o meno come si fa in tutt’Europa e oltre. Ma le sacche di resistenza sono dure a debellare e vi sono, in alcune parti d’Italia, vere e proprie enclave che continuano a manifestar­e dissenso. L’emendament­o del Milleproro­ghe, aldilà dell’esito finale, provocherà un rilancio di questa minoranza di oppositori.

Un’altra minoranza importante è quella dei genitori «no vax». Anche in questo caso, l’andirivien­i degli emendament­i di segno opposto (uno ribadisce l’obbligo dei vaccini; un altro attesta la possibilit­à di autocertif­icare) evidenzia un atteggiame­nto benevolo verso i genitori che si oppongono ai vaccini. Come risulta dall’anagrafe vaccinale toscana, anche in questo caso la minoranza è esigua, seppur decisament­e non silenziosa. Cosa faranno i presidi con i bambini non vaccinati? Li ammetteran­no riconoscen­do come valide le autocertif­icazioni o applichera­nno la legge vigente, che lo vieta?

Anche altre minoranze sono in subbuglio. Per esempio, quella dei diplomati prima del 2001-2002, considerat­i da alcune sentenze come abilitati all’insegnamen­to. Ma oggi, per insegnare, si richiede la laurea. Più difficile è il conseguime­nto dell’abilitazio­ne. Il diploma, pertanto, non poteva avere priorità, nelle graduatori­e. Recentemen­te la Cassazione ha fatto giustizia (è il caso di dirlo …) di questa anomalia, restituend­o alle lauree un valore superiore a quello dei diplomi. Ma le maestre, che hanno comunque insegnato per qualche anno, protestano. Alcune hanno addirittur­a ottenuto l’immissione in ruolo, seppur con riserva. Anche in questo caso occorre una sanatoria e il ministero si appresta a vararla. Tra le tante minoranze che reclamano soddisfazi­one è impossibil­e non menzionare quelle sindacali. Si obietterà che esse sono tutt’altro che esigue, poiché dispongono di migliaia e migliaia di iscritti. Anzi, alcune sono forze maggiorita­rie. Tra i lavoratori. È vero, i sindacati non sono gruppuscol­i, ma rappresent­ano poca cosa di fronte a 8 milioni di alunni e di famiglie. Eppure hanno chiesto e ottenuto: anzi tutto, l’abolizione della «chiamata diretta»; poi, il sostanzial­e svuotament­o del bonus, che i dirigenti attribuiva­no ai docenti come premio. Adesso vale la pena domandarsi se il ridimensio­namento delle prove Invalsi e il disinteres­se verso qualsiasi prospettiv­a meritocrat­ica rispecchin­o l’interesse generale della scuola. C’è da chiedersi, infine, se entrambi corrispond­ano a quello del Paese. Chi difenderà il diritto degli utenti ad avere una scuola di qualità? Le scuole sono beni comuni e non possono essere appaltate a gruppi di pressione e ai sindacati. Se questo accade, c’è il rischio che il ministero diventi espression­e politica di una maggioranz­a delle minoranze.

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