LE CHE IMBRIGLIANO UN PAESE
Caro direttore, anche le prove Invalsi sono cadute sotto la mannaia del Milleproroghe: un emendamento ne elimina l’obbligatorietà per i prossimi esami di Stato e non è certo se mai verrà ripristinata. Esse hanno da sempre provocato l’orticaria a tutti gli insegnanti, che temono che da una valutazione degli alunni segua una valutazione per loro stessi. Meglio muovere dall’assunto che tutti gli insegnanti sono ugualmente bravi e impegnati, tanto più se sono immessi in ruolo dopo anni di precariato. Ovviamente, il fatto che una realtà rocciosa contrasti con una tale veduta poco importa: l’egualitarismo sindacale non arretra di fronte a simili inezie. Tuttavia, negli anni, la resistenza verso le prove Invalsi si è ridotta e, in regioni come la nostra, è diventata marginale. Le prove sono senz’altro da perfezionare e i risultati non sono «oro colato», ma rappresentano un tentativo di misurare la qualità del sistema scolastico. Più o meno come si fa in tutt’Europa e oltre. Ma le sacche di resistenza sono dure a debellare e vi sono, in alcune parti d’Italia, vere e proprie enclave che continuano a manifestare dissenso. L’emendamento del Milleproroghe, aldilà dell’esito finale, provocherà un rilancio di questa minoranza di oppositori.
Un’altra minoranza importante è quella dei genitori «no vax». Anche in questo caso, l’andirivieni degli emendamenti di segno opposto (uno ribadisce l’obbligo dei vaccini; un altro attesta la possibilità di autocertificare) evidenzia un atteggiamento benevolo verso i genitori che si oppongono ai vaccini. Come risulta dall’anagrafe vaccinale toscana, anche in questo caso la minoranza è esigua, seppur decisamente non silenziosa. Cosa faranno i presidi con i bambini non vaccinati? Li ammetteranno riconoscendo come valide le autocertificazioni o applicheranno la legge vigente, che lo vieta?
Anche altre minoranze sono in subbuglio. Per esempio, quella dei diplomati prima del 2001-2002, considerati da alcune sentenze come abilitati all’insegnamento. Ma oggi, per insegnare, si richiede la laurea. Più difficile è il conseguimento dell’abilitazione. Il diploma, pertanto, non poteva avere priorità, nelle graduatorie. Recentemente la Cassazione ha fatto giustizia (è il caso di dirlo …) di questa anomalia, restituendo alle lauree un valore superiore a quello dei diplomi. Ma le maestre, che hanno comunque insegnato per qualche anno, protestano. Alcune hanno addirittura ottenuto l’immissione in ruolo, seppur con riserva. Anche in questo caso occorre una sanatoria e il ministero si appresta a vararla. Tra le tante minoranze che reclamano soddisfazione è impossibile non menzionare quelle sindacali. Si obietterà che esse sono tutt’altro che esigue, poiché dispongono di migliaia e migliaia di iscritti. Anzi, alcune sono forze maggioritarie. Tra i lavoratori. È vero, i sindacati non sono gruppuscoli, ma rappresentano poca cosa di fronte a 8 milioni di alunni e di famiglie. Eppure hanno chiesto e ottenuto: anzi tutto, l’abolizione della «chiamata diretta»; poi, il sostanziale svuotamento del bonus, che i dirigenti attribuivano ai docenti come premio. Adesso vale la pena domandarsi se il ridimensionamento delle prove Invalsi e il disinteresse verso qualsiasi prospettiva meritocratica rispecchino l’interesse generale della scuola. C’è da chiedersi, infine, se entrambi corrispondano a quello del Paese. Chi difenderà il diritto degli utenti ad avere una scuola di qualità? Le scuole sono beni comuni e non possono essere appaltate a gruppi di pressione e ai sindacati. Se questo accade, c’è il rischio che il ministero diventi espressione politica di una maggioranza delle minoranze.