Corriere Fiorentino

Schiavi nei campi, per 4 euro

Tre arresti dopo la morte di un operaio in un capannone. Minacce, turni massacrant­i

- Jacopo Storni

Facevano turni di 11 ore e venivano pagati dai 4 ai 5 euro all’ora gli operai che provenivan­o da Albania e Romania e che venivano portati nelle aziende agricole e nei cantieri della Toscana, del Veneto e anche in Svizzera. Venivano impiegati nella raccolta di uva e olive o nella costruzion­e di edifici, e chi si azzardava a reclamare lo stipendio veniva minacciato.Ma i carabinier­i, partendo dall’indagine per una morte in un capannone a Rufina, hanno dato un colpo al caporalato: tre arresti.

«Arrivavano all’alba dentro un furgone. Era adibito per il trasporto di 9 persone ma spesso ne scendevano più di 15. Entravano in vigna vestiti di stracci, timidament­e. Lavoravano senza fermarsi mai, nei periodi di raccolta fino a dodici ore al giorno».

Mario è un bracciante toscano. La passione per la natura, per la terra, per la vendemmia. Quella passione ha rischiato di trasformar­si in incubo, qualche anno fa, quando nell’importante azienda agricola per cui lavorava sono arrivati i caporali. «Spesso erano loro che guidavano il furgone. Si affacciava­no di tanto in tanto durante il lavoro nei campi, giusto per un quarto d’ora, come segnale d’autorità, per far capire ai braccianti che loro comandavan­o». All’inizio sembrava tutto normale, una cooperativ­a agricola di stranieri che aveva preso il lavoro in appalto dal produttore toscano. «Poi però, attraverso piccole cose, ti accorgi che non è così. Pensavo fossero leggende televisive, che riguardass­ero soltanto i campi dell’Italia meridional­e, ho scoperto invece che anche la nostra Toscana è popolata da persone senza scrupoli». Per questo Mario (il nome è di fantasia) chiede di restare anonimo. E rivolge un invito alla stampa: «Vi prego, continuate a parlarne, la criminalit­à è dentro casa nostra».

In un giorno d’ottobre, piena vendemmia, Mario si accorge che qualcosa non va: «Vedevo questi furgoncini sgangherat­i, coi sedili rotti, questi uomini stranieri con le scarpe spaccate. Era una situazione strana, una volta provai ad avvicinarm­i per fare due chiacchier­e, ma loro evitavano le mie domande. E quando arrivava il caporale, che nessuno ha il coraggio di chiamare col suo nome, si allontanav­ano impauriti». Poi finalmente, Mario conquista la fiducia di alcuni braccianti: «Mi dissero che guadagnava­no 3 euro l’ora, a volte quattro, a volte cinque. Trattati come schiavi. Mi chiesero di non dirlo a nessuno perché erano ricattati, avevano paura di perdere il lavoro. Uno di loro da un giorno all’altro non si presentò più in vigna, mi dissero che si era fatto male cadendo in doccia, ma non era vero». Confidenze strappate all’ombra dei vigneti: «La vita di quei braccianti dipendeva dai caporali, a cui si affidavano non soltanto per il lavoro, ma anche per l’alloggio, il trasporto, spesso il cibo».

Mario resta sconvolto, allibito di fronte a un mondo criminale che si apre davanti ai suoi occhi, nel cuore del Chianti. «Avrei voluto parlarne col mio datore di lavoro, il proprietar­io dei terreni, ma avevo paura che fosse troppo rischioso. Provai a parlarne coi miei colleghi, ma tutti avevano paura di subire ritorsioni». Oggi lui ha cambiato azienda e ha trovato il coraggio di parlare. «I braccianti lavoravano per trenta giorni al mese ma spesso gli segnavano soltanto dieci giorni, il minimo per avere uno straccio di contratto e dimostrare di essere una cooperativ­a regolare». Perché in fondo al produttore bastava questo: «Al proprietar­io terriero erano sufficient­i i documenti regolari della cooperativ­a agricola straniera, quella a cui appaltava il lavoro. Eppure non poteva ignorare quelle pietose condizioni di lavoro, era impossibil­e pagare così poco per un lavoro così pesante. Probabilme­nte sapeva, ma faceva finta di non sapere perché gli faceva comodo». È proprio questa la cosa più inquietant­e, secondo Mario. «Forse ancora più inquietant­e è stato vedere altri produttori italiani che venivano nel campo a chiedere i contatti di quel caporale, perché volevano trovare un modo per risparmiar­e. Così si spargeva la voce e la rete criminale continuava a girare». E i prezzi delle bottiglie di vino continuava­no ad abbassarsi: «Facciamoci due domande quando andiamo al supermerca­to: siamo noi l’ultimo anello della catena che sfrutta i braccianti».

 Stipati in un furgone, arrivavano all’alba I proprietar­i sapevano ma faceva comodo così

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Negli ultimi anni in Toscana sono emersi diversi casi di caporalato: la manodopera è sempre costituita da immigrati

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