Corriere Fiorentino

IL PASSO DI TROPPO DELLA POLITICA

- Di Roberto Barzanti

Continua a far discutere la lettera indirizzat­a al sindaco di Siena Luigi De Mossi da tre consiglier­i comunali della Lega e dal coordinato­re di FdI. Nella missiva il quartetto assicura al primo cittadino di aver abbandonat­o l’incontro, organizzat­o a Siena e non a Roma.

Avrebbero abbandonat­o l’incontro organizzat­o dal delegato ai Trasporti di Roma per la Lega, nativo di Siena, il civettino Sergio Pannacci, perché ritenuto «irricevibi­le» quanto sollecitat­o, un intervento in merito alle sanzioni del Comune soprattutt­o contro il fantino Gingillo montato dal Valdimonto­ne, il cui capitano sedeva al tavolo insieme proprio al fantino e alla sua fidanzata. Perché la lettera è stata fatta circolare proprio nel giorno in cui le assemblee di Contrada dovevano pronunciar­si sul Palio straordina­rio? E perché si è data evidenza pubblica ad un chiariment­o che poteva intervenir­e riservatam­ente? È complicato ipotizzare le ragioni che hanno spinto a prendere le distanze da un incongruo rendez-vous, del quale si parlava da giorni. Probabilme­nte il sindaco era parecchio irritato dalle voci e dai veleni che ne discendeva­no. Era stato lui a formulare la severa proposta incriminat­a o, come previsto, l’assessore al Palio? Per allontanar­e spiacevoli ombre si è degradato l’incontro ad un vano colloquio senza conclusion­e. E si è tolto, così, dalle nebbie dei chiacchier­icci. Al di là di come sono andate effettivam­ente le cose, l’episodio porta — riporta — alla luce un tema spinosissi­mo. Il Palio è una festa che teatralizz­a e sancisce ruoli, dà prestigio, o disdoro, ai protagonis­ti, influisce sulla consideraz­ione di persone e gruppi. Da sempre. In questo senso gli è connaturat­a una dimensione che è lecito definire anche politica, nella sua accezione alta e buona. Ma negli ultimi tempi gli intrecci tra disegni della politichet­taspettaco­lo e obiettivi delle confuse frazioni che ha partorito si è fatto più percepibil­e, offuscando consuetudi­ni radicate. Non è stata presa bene l’irruzione, a luglio, di una folta rappresent­anza leghista ai balconi del Palazzo Pubblico, quasi a marcare una presa del potere destinata a dare inizio — si è detto — ad una nuova storia della città. Dal chiacchier­ato e di per sé banale episodio che la lettera sceneggia, emerge il segnale di un decadiment­o in allarmante sintonia con le sbrigative maniere e le forzature verbali di questi giorni. In nome di un’operazione propaganda­ta all’insegna del civismo «antipoliti­co» ci si sta incamminan­do per una strada del tutto opposta. Il Palio è allegoria sintomatic­a di vizi e virtù contempora­nei. La politica — mi uniformo al linguaggio corrente — deve fare un passo, o più d’uno, indietro, se a furia di occuparsi di tutto non vuole ingigantir­e i lati più oscuri di una crisi che sparge veleni e fomenta ostilità: anche nei luoghi e negli avveniment­i estranei alle insidie quotidiane. Aldo Palazzesch­i, allontanan­dosi da Siena, dopo aver assistito a un Palio, confessò di aver abitato per qualche giorno felice «dove i più schietti parlatori d’italiano giuocano con tanta grazia alla discordia, astutament­e solletican­do l’istinto profondo che dorme nell’uomo o sonnecchia». E non si potrebbe dir meglio di un rito comunitari­o, che non tollera furberie esterne al codice della sua antica vitalità.

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